Ho assistito con interesse al Consiglio comunale aperto di Medicina nel quale, lo scorso 11 dicembre, gli imprenditori Cazzola, Menarini e Bandiera hanno illustrato la loro proposta denominata Romilia, il parco divertimenti con annesso campo da golf, mostra dell’automobile, nuovo stadio, centro commerciale e circa 900 nuovi alloggi di complemento.
Non intendo qui entrare nel merito della proposta, ma soffermarmi sul metodo, e direi anche sullo stile che ha caratterizzato questo progetto sino dalla prima presentazione, a fine novembre, per arrivare al consiglio medicinese dell’altra sera, dal quale partono queste osservazioni.
Prima scena, ingresso della sala, ore 18 in punto. Siamo in 4 o 5 nell’atrio, davanti al personale di servizio, che ci ferma dicendo che i posti sono esauriti: “dovete aspettare che qualcuno esca”. Arriva dietro di noi un ragazzo, “sono del Bologna FC” dice, “prego passi pure”.
Seconda scena, in sala (dove poi riesco ad entrare): il sindaco apre i lavori rammentando che, benché aperto, quello che si va ad iniziare è pure sempre un Consiglio comunale; scatta un applauso spontaneo dalla platea: “questo è sicuramente per il dott. Cazzola”, si affretta a dire il sindaco. Che in effetti, dopo breve introduzione, cede non solo la parola, ma direi la presidenza del Consiglio all’illustre ospite, che infatti prende in mano la conduzione dei lavori e governa lui il microfono. Al punto che la triade viene poco dopo definita, da un amministratore locale, “le tre autorità qui presenti”.
Parole, gesti, atteggiamenti purtroppo coerenti con il ruolo che da subito i proponenti hanno attribuito alle pubbliche istituzioni, per nulla coinvolte nell’elaborazione della proposta, ma messe di fronte ad un plastico e una conferenza stampa. Perché sarebbe stato ben diverso se gli imprenditori avessero dichiarato la loro volontà di realizzare l’opera, rimettendo però alle pubbliche istituzioni l’individuazione dell’area più adatta: in questo modo i privati, mediante la loro iniziativa imprenditoriale, avrebbero svolto appieno la propria funzione di motore economico di un territorio, consentendo alla pubblica amministrazione di svolgere altrettanto appieno la propria funzione urbanistica, attività essenziale e irrinunciabile finalizzata ad un utilizzo equilibrato e sostenibile di quello stesso territorio.
Invece è andata diversamente: le istituzioni vengono chiamate ad esprimersi non nella loro funzione ordinatrice e pianificatoria, ma semplicemente a dire si o no ad una operazione già completa di accordo con la proprietà terriera. Al punto che l’altra sera a Medicina l’imprenditore Menarini ha dichiarato di sapere perfettamente che la loro proposta non rientra nel Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale, ma di non preoccuparsi affatto di ciò: basta fare un bell’accordo di Programma, benedetto dalla Regione in barba alla pianificazione ordinaria, con tanto di Conferenza dei Servizi allegata, e il cantiere può partire. Agli ordini, comandante!
Prima quindi dei contenuti della proposta, prima dell’analisi di costi e benefici per la collettività, colpisce e dispiace l’ossequio eccessivo, lo zelo quasi servile di figure istituzionali davanti a personaggi certamente importanti, potenti e di successo (meritato), ma che restano “parte” (attiva e fondamentale) di una “totalità” che andrebbe appunto interpretata e rappresentata dall’amministrazione pubblica.
La quale invece sembra accettare il ruolo residuale, “di rimessa” assegnatole dal metodo Cazzola, abdicando alla propria missione di governo del territorio e dimenticando la propria fondamentale funzione di rappresentanza degli interessi collettivi. Col risultato che una iniziativa finalizzata (legittimamente!) alla patrimonializzazione della società calcistica del Bologna, nella quale lo stadio non è fondamentale (come ha testualmente affermato Renzo Menarini), andrebbe preventivamente accolta e benedetta (questa è la tesi udita a Medicina) indipendentemente dai contenuti, come opportunità per il territorio di Medicina: “Prima diciamo di sì, dopodichè entreremo nel merito”, come hanno detto il sindaco e diversi amministratori.
E qui sta proprio l’errore, anzi la madre di tutti gli errori in campo urbanistico: anticipare (per zelo, per ingenuità, per golosità…) il giudizio rispetto all’esame, accettare il pacco prima di aprirlo, significa precostituire una posizione di forza per il proponente e di debolezza per la parte pubblica, un vincolo che accresce il potere contrattuale del primo e restringe quello della seconda, come abbiamo visto in tante, troppe vicende urbanistiche più o meno recenti.
Alcuni anni fa Michele Serra sul rimpianto settimanale Cuore invitava alcuni colleghi giornalisti a non sdraiarsi sopra (o sotto) i personaggi intervistati. Faccio mio l’appello come amministratore: teniamo alta la dignità del nostro ruolo, il senso della nostra funzione. Ascoltiamo tutti, senza pregiudizi, ma restando in piedi.
Andrea De Pasquale, consigliere provinciale DL-Margherita