Bologna, 1 marzo 2018
Cari amici,
eccoci al mio aggiornamento periodico, dedicato stavolta alle elezioni politiche di domenica.
Essendo il testo particolarmente lungo, vi do alcuni suggerimenti di lettura:
Se non vi interessano i meccanismi della nuova legge elettorale, saltate i punti da 1 a 4 e andate direttamente al punto 5.
Se vi incuriosiscono le mie critiche al PD, andate al punto 7, ma se volete sapere perché lo voterò, saltate al punto 8.
Questo l’indice:
1) DAL NO AL REFERENDUM ALLA NUOVA LEGGE ELETTORALE. MENO GOVERNABILITÀ PIÙ FRAMMENTAZIONE.
2) COSA TROVEREMO SULLA SCHEDA E COME SI VOTA
3) L’OFFERTA POLITICA NAZIONALE: PARTITI E COALIZIONI
4) CHI VIENE ELETTO E LE SOGLIE DI SBARRAMENTO
5) LA PATERNITA’ POLITICA DELLA LEGGE E L’INCOERENZA DEI CONTRARI
6) I CANDIDATI A BOLOGNA E PROVINCIA
7) “PER CHI VOTARE?” PARTE PRIMA: LISTE CHE PREMIANO FEDELTA’ E DIPENDENZA
8) “PER CHI VOTARE?” PARTE SECONDA: PROMESSE E FATTI. RIFORMATORI VS CONSERVATORI
9) NOTARELLA FINALE: PIERFERDINANDO ED EMMA.
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1) DAL NO AL REFERENDUM ALLA NUOVA LEGGE ELETTORALE. MENO GOVERNABILITÀ PIÙ FRAMMENTAZIONE.
Partiamo dalla legge elettorale con cui andiamo a votare, punto di caduta del negoziato tra le varie forze politiche e cartina al tornasole di quel poco di “cultura politica condivisa” necessaria a stabilire le regole del gioco. Per questo merita uno sguardo approfondito, non tanto per i tecnicismi, ma per il loro significato politico.
Figlia diretta della sconfitta del Sì al Referendum costituzionale di dicembre 2016, la nuova legge è stata approvata a novembre 2017 a larga maggioranza (al Senato 214 sì contro 61 no, dopo la Camera dove con voto segreto era passata con 375 sì e 215 no). Contrari 5 Stelle e Sinistra (che invece dovrebbero rivendicarne la paternità politica, come vedremo più avanti) e a favore tutte le altre forze (PD, Lega, Forza Italia, Alternativa Popolare). La legge sancisce il ritorno ad un meccanismo che premia la rappresentatività rispetto alla governabilità: prevede infatti che il 63% dei seggi del Parlamento siano attribuiti con metodo proporzionale (61% nei collegi nazionali e 2% per gli italiani residenti all’estero, in costante aumento guardacaso…), e solo per il residuo 37% con sistema maggioritario. Detto in numeri assoluti, su 630 deputati 398 saranno eletti col sistema proporzionale e 232 con quello maggioritario; al Senato su 315 membri 199 saranno eletti col proporzionale, e 116 col maggioritario.
Questo significa che il territorio nazionale è stato suddiviso, per la Camera, in 232 collegi uninominali (che eleggeranno ciascuno un deputato) e in 63 collegi plurinominali (che eleggeranno i 386 deputati nella quota proporzionale, a cui si aggiungeranno i 12 della circoscrizione Estero), mentre per il Senato la suddivisione è in 116 collegi uninominali e 33 collegi plurinominali (che eleggeranno i 199 senatori della quota proporzionale).
2) COSA TROVEREMO SULLA SCHEDA E COME SI VOTA
Le schede elettorali si presentano quindi con lo spazio diviso in blocchi, tanti quanti sono le coalizioni e i partiti che si presentano da soli. Ogni blocco riporta in alto (in un rettangolo orizzontale) il nome e cognome del candidato (uno solo, anche per le coalizioni) al collegio uninominale; subito sotto uno o più riquadri, tanti quante sono le liste (i partiti) che sostengono quel candidato, e in ogni riquadro, accanto al simbolo del partito, il listino bloccato di candidati alla quota proporzionale per quel partito.
Non è ammesso il voto disgiunto: l’elettore cioè può tracciare una X sul simbolo del partito (votando così automaticamente sia per il partito, sia per il candidato uninominale sostenuto da quel partito), oppure sul candidato uninominale (in tal caso il suo voto verrà distribuito ai partiti che sostengono quel candidato in modo proporzionale ai voti ottenuti da ciascun partito in quel collegio). L’elettore può anche tracciare due X, una sul candidato uninominale e una su un partito che lo sostiene. Non può invece votare per un candidato uninominale e per un partito diverso da quello o quelli a lui collegati: se lo fa, la scheda viene annullata. Non può nemmeno esprimere preferenze: come detto, il listino dei candidati e bloccato e fisso.
Ricevendo la scheda, noteremo quest’anno una novità: il tagliando antifrode, ovvero un’appendice staccabile che riporta un numero seriale univoco identificativo di quella scheda, che viene registrato prima di consegnare la scheda stessa all’elettore, e verificato quando l’elettore la riconsegna al personale del seggio che la inserirà nell’urna (non sarà l’elettore a farlo). Questo ad evitare brogli e schede false.
3) L’OFFERTA POLITICA NAZIONALE: PARTITI E COALIZIONI
L’offerta politica che gli elettori si troveranno davanti a questo giro è segnata da una forte frammentazione di partiti e di liste, che solo in due casi si presentano in coalizione. Quella di centrodestra riunisce 4 partiti: Forza Italia (Berlusconi), Lega (Salvini), Fratelli d’Italia (Meloni), Noi con l’Italia (Fitto). Quella di centrosinistra vede alleati il Partito Democratico (Renzi), Più Europa (Bonino), Civica Popolare (Lorenzin) e Insieme (Santagata). Corre in solitaria il Movimento 5 Stelle (Di Maio). Più a sinistra troviamo 4 formazioni, che corrono ciascuna per suo conto: Liberi e Uguali (Grasso), Partito Comunista (Rizzo), Potere al Popolo (Carofalo), Sinistra Rivoluzionaria (Bellotti). Sul versante destro troviamo invece il Partito Repubblicano-ALA (Verdini), il Popolo della Famiglia (Adinolfi), CasaPound (Di Stefano), Italia agli Italiani (Fiore). Oltre a questa rosa di liste maggiori, ve ne sono molte altre minori (sul sito del Ministero dell’Interno si trovano una quarantina di contrassegni ammessi alle elezioni).
Gli ultimi sondaggi accreditavano una maggioranza relativa alla coalizione di centrodestra (intorno al 37-38%), mentre quella di centrosinistra si collocherebbe circa 8-9 punti indietro (28-29%), più o meno alla pari con il Movimento 5 Stelle. Come sempre, l’alto numero di indecisi (che valuteranno all’ultimo se e per chi votare) rende queste previsioni non troppo attendibili. Tuttavia, data la natura proporzionalista della legge elettorale e la conseguente forte frammentazione dell’offerta politica, sembra piuttosto difficile che dalle urne esca una maggioranza chiara in grado di governare.
4) CHI VIENE ELETTO E LE SOGLIE DI SBARRAMENTO
Dicevamo che nei collegi uninominali vige il maggioritario puro: verrà quindi eletto il candidato che avrà ottenuto anche solo un voto in più degli avversari, senza soglie minime percentuali.
Nei collegi plurinominali invece i seggi vengono assegnati in modo proporzionale ai voti ottenuti dal partito (o lista) a livello nazionale per quanto riguarda la Camera, a livello regionale per quanto riguarda il Senato. Quanto ai nomi, verranno eletti nell’ordine in cui compaiono sulla scheda, fino a raggiungere il numero di eletti cui quella lista ha diritto. Questo significa che tra il primo e il secondo posto, e tra il secondo e il terzo c’è una enorme differenza quanto a probabilità di entrare in Parlamento.
La legge consente le cosiddette pluricandidature, ovvero la stessa persona può essere candidata in un collegio uninominale e contemporaneamente in diversi collegi plurinominali (se ho capito bene, fino a 5). Questo meccanismo serve ai partiti per controllare ancora meglio l’accesso al Parlamento: giocando infatti sulle opzioni che un candidato, eletto in due o più collegi, può esercitare, si sceglie di fatto chi – tra i primi dei non eletti nei vari collegi – far entrare e chi tenere fuori.
La legge prevede anche delle soglie di sbarramento: le liste singole devono raggiungere un minimo del 3% a livello nazionale, o in alternativa – per il solo Senato – il 20% in almeno una regione. Per le coalizioni la soglia è del 10% a livello nazionale (con almeno uno dei partiti sopra il 3%). Sempre per le coalizioni, vigono ulteriori regole: le liste collegate che non arrivano all’1% a livello nazionale, queste non concorrono al risultato della coalizione (di fatto sono voti sprecati). La lista che ottiene dall’1 al 3% contribuisce alla Coalizione ma non elegge i propri candidati nella quota proporzionale. Superando il 3%, elegge anche in quota proporzionale.
Questo è uno dei motivi per cui i partiti più piccoli hanno negoziato la presenza di proprio candidati nei collegi uninominali, candidati che pur essendo espressione di formazioni minoritarie verranno tuttavia sostenuti (o quantomeno questo è quanto dovrebbe accadere) dall’intera coalizione, compresi i partiti maggiori, che invece a livello proporzionale sono in rapporto di concorrenza. Suona strano, ma è così: la legge elettorale infatti si definisce di tipo “misto”, tra maggioritario e proporzionale, quindi è naturale che i partiti coalizzati facciano accordi sul nome del candidato uninominale, mentre si contino sul proporzionale.
5) LA PATERNITA’ POLITICA DELLA LEGGE E L’INCOERENZA DEI CONTRARI.
Questa legge sembra non piacere a nessuno, e a me piace meno che ad altri: primo perché non si preoccupa della governabilità e favorisce la frammentazione; secondo perché sottrae agli elettori sia la possibilità di scegliere una maggioranza di governo (come avveniva con il sistema maggioritario), sia la possibilità di scegliere le persone migliori tra i candidati in lista (come avveniva con il vecchio proporzionale). Terzo perché consegna più che mai il controllo totale del personale politico che verrà eletto alle segreterie dei partiti.
Ma una legge cosiffatta, proprio questa, incarna come dicevamo la sintesi raggiunta tra le varie forze politiche e i loro divergenti interessi in materia elettorale, e dunque rappresenta l’unico compromesso che nelle condizioni date è stato possibile ottenere sulle regole del gioco. Lo ricordo a tutti, e soprattutto a quanti si sono impegnati a bocciare con il NO referendario una riforma già votata per 6 volte in Parlamento (3 alla Camera, 3 al Senato), e che ci spiegavano come, respinta quella riforma, si sarebbe aperta una stagione ecumenica di “riforme condivise” tra tutte le forze politiche, a partire dalla nuova legge elettorale.
Bene, una legge elettorale è stata effettivamente prodotta, con ingredienti che abbiamo descritto, e che compongono la fotografia di quanto è stato possibile condividere tra le forze politiche disponibili a un accordo. Ad un esame del DNA politico, questa legge evidenzia dunque una discendenza politica chiara, che né la sinistra radicale né il Movimento 5 Stelle (che pure le hanno votato contro) possono disconoscere. E’ la vostra legge, cari amici del NO: non potete lamentarvene, anzi dovete apprezzarla e riconoscerla come frutto esatto, prevedibile e previsto, della vostra scelta e della vostra strategia.
6) I CANDIDATI A BOLOGNA E PROVINCIA
Torniamo ora al voto e vediamo le schede che ci troveremo in mano qui a Bologna. Partiamo dalla Camera, per eleggere la quale il territorio provinciale è stato suddiviso in 4 collegi uninominali (Emilia Romagna 1, 5, 6 e 7). Il collegio 1 (Imola) include tutta la provincia est (da Imola a San Lazzaro) e una buona fetta della montagna (da Castel del Rio a Camugnano passando per Pianoro, Loiano, Castiglione dei Pepoli, ecc…) Il collegio 5 (San Giovanni in Persiceto) include tutta la pianura nord, dai confini del capoluogo (Anzola, Calderara, Castel Maggiore, Granarolo, Castenaso) fino a Crevalcore, Galliera e Molinella. Il collegio 6 (Bologna Mazzini) comprende i quartieri est della città, ovvero Savena, San Donato- San Vitale, Santo Stefano e Navile. Il collegio 7 (Bologna Casalecchio) comprende i quartieri ovest (Porto-Reno, Saragozza) e i comuni verso ovest fino alla montagna (Casalecchio, Zola, Valsamoggia, Sasso, fino a Lizzano e Alto Reno Terme). Ciascuno di questi 4 collegi uninominali eleggerà, lo abbiamo detto, un solo deputato: colui che prenderà anche solo un voto in più dei suoi avversari.
Tutta la provincia di Bologna forma invece un solo collegio plurinominale (Emilia Romagna 3), che include quindi tutti e 4 i collegi uninominali sopra elencati, e che eleggerà in tutto 6 deputati (scelti secondo l’ordine in elenco nel listino bloccato presentato da ciascun partito e identico in tutto il collegio plurinominale, ovvero in tutta la provincia).
Sulla scheda della Camera troveremo quindi un listino di candidati uguale per tutta la provincia (nel caso del PD, i nomi sono: Carla Cantone, Luca Rizzo Nervo, Giuditta Pini, Benedetto Zacchiroli), mentre come candidati all’uninominale avremo Serse Soverini (collegio 1 “Imola”), Francesco Critelli (collegio 5 “San Giovanni in Persiceto”), Andrea De Maria (Collegio 6 “Bologna Mazzini”), Gianluca Benamati (Collegio 7 “Bologna Casalecchio”). Per gli altri partiti la suddivisione è la stessa (cambiano ovviamente i nomi dei candidati).
Per il Senato la situazione è, se possibile, ancora più complicata.
Per i collegi uninominali, la provincia di Bologna è spezzata in 2 parti: il collegio numero 4 che include buona parte del territorio della montagna compreso il capoluogo fino alla via Emilia con una estensione a nord di Medicina; poi i comuni del Circondario Imolese a est, e altri comuni della pianura nord (da Crevalcore a Molinella) che sono accorpati al collegio di Ferrara (il numero 3). Gli elettori bolognesi eleggeranno dunque un senatore all’uninominale, e contribuiranno a eleggerne un secondo insieme agli elettori di Ferrara.
Quanto invece ai candidati plurinominali, la provincia di Bologna fa parte del collegio numero 1, insieme a tutta la parte est della regione (con Ferrara, Ravenna, Rimini, Forlì Cesena), che eleggerà in tutto 8 senatori, anche qui scelti secondo l’ordine del listino bloccato presentato da ciascun partito e identico in tutto il collegio plurinominale.
Sulla scheda del Senato troveremo quindi (sempre prendendo ad esempio il PD) Daniele Manca, Teresa Bellanova, Ernesto Carbone e Francesca Puglisi, mentre per l’uninominale Pierferdinando Casini nel collegio numero 4, e Sandra Zampa nella pianura a nord e nell’imolese (accorpati a Ferrara).
7) “PER CHI VOTARE?” PARTE PRIMA: LISTE CHE PREMIANO FEDELTA’ E DIPENDENZA.
Veniamo ora al voto. Sento alcuni dirmi: “Il panorama è confuso, sono molto indeciso su chi votare”. Sinceramente invece io a questo giro non ho molti dubbi. E non certo per obbedienza o senso di appartenenza, anzi tutto all’opposto, come provo a spiegare.
Come sapete, sono iscritto al PD (non perché ritengo che qui sia tutto buono e fuori tutto cattivo, ma perché impegnarsi in politica significa necessariamente “prendere parte”, e la parte che sento a me più vicina è oggi questa) e da iscritto cerco, nel tempo libero dal lavoro, di portare avanti nel partito almeno un paio di battaglie “storiche”: una sui temi di Mobilità e Pianificazione, per scelte più trasparenti e più rispondenti all’interesse collettivo di quelle fatte negli ultimi decenni a Bologna. L’altra per una diversa selezione della classe dirigente, che quando è tutta e solo dipendente dalla politica, perde in libertà e in capacità di comprendere la società.
Ebbene, su questo ultimo terreno, la selezione dei candidati ha rappresentato a mio giudizio un arretramento, in tutti i partiti, PD compreso. Perché a livello nazionale e locale l’impressione è che siano state premiate fedeltà personali e figure controllabili rispetto a profili autonomi e autorevoli. Scelte che, almeno per il PD, finiscono per rafforzare l’immagine di partito di apparato, che applica una logica di “collocamento”, e anche quando in nome del ricambio propone dei giovani, li forma e li promuove in quanto politici di mestiere, con tutti i limiti che questo comporta, in termini di fatica a comprendere le dinamiche del lavoro, di eccessiva dipendenza economica dalla politica e di minore libertà di azione. Su questo - che era non a caso il punto differenziale della mozione congressuale del nostro gruppo PerDavvero - c'è ancora molto da lavorare.
Per inciso, la scelta dei 5 Stelle di promuovere in politica figure senza esperienza e senza preparazione è solo apparentemente opposta. Paradossalmente, dal punto di vista della docilità al controllo e al pilotaggio da parte del vertice, il personale politico “grillino”, composto di figure fragili, senza radicamento e senza spessore, ha un comportamento simile a quello d’apparato. E attenzione: la “professionalità” del politico, intesa come capacità acquisita negli anni di maneggiare le questioni collettive e di leggerle in profondità, è altra cosa dal “professionismo” della politica, inteso come dipendenza economica e lavorativa dalla politica stessa. Della prima c’è assai bisogno, del secondo meno. Bisogna pertanto stare attenti a non confondere i due concetti, ed evitare di buttare, lottando contro il secondo, anche la prima.
8) “PER CHI VOTARE?” PARTE SECONDA: PROMESSE E FATTI. RIFORMATORI VS CONSERVATORI.
Se sul piano della selezione del personale politico sono poco soddisfatto (ma il problema dicevamo è comune a tutti i partiti), su quello dei contenuti politici, ovvero dei programmi, della direzione verso cui guidare il nostro Paese, il discorso cambia. E le differenze si fanno evidenti.
I due governi Renzi e Gentiloni hanno affrontato uno straordinario numero di pratiche accumulate e di dossier giacenti da anni nei cassetti ministeriali. Più di tutti i governi che li hanno preceduti, compresi quelli guidati da Berlusconi, che pure amava presentarsi come un “uomo del fare”.
Se talvolta la fretta di portare a casa una riforma può aver prevalso sull’approfondimento e la cura dei dettagli, resta il fatto che questi governi hanno messo mano a situazioni che analisti nazionali e osservatori internazionali mettevano da almeno un quarto di secolo tra i motivi dei ritardi italiani rispetto agli altri paesi occidentali. E questo è stato possibile grazie soprattutto al coraggio e alla spregiudicatezza del leader del partito di maggioranza, Matteo Renzi, che al netto di un carattere irritante e del difetto di circondarsi di figure fedeli piuttosto che autorevoli e competenti, ha comunque il merito storico di aver traghettato il principale partito progressista italiano verso posizioni riformatrici di sinistra europea, a costo di mettere in discussione tabù atavici per la sinistra italiana, come una maggiore autonomia dal sindacato, un minimo di severità verso i dipendenti pubblici che fanno i furbi, la scelta di non lasciare alle destre questioni come la domanda di sicurezza e la riduzione del carico fiscale, eccetera.
Scendendo nel concreto, la maggioranza a trazione PD negli ultimi 5 anni ha prodotto – tra Governo e Parlamento – una impressionante serie di innovazioni, normative, fiscali ed economiche.
Sul piano fiscale, è stata abolita l’IMU sulla prima casa, è stato reso strutturale (quindi stabile nel tempo) lo sgravio sulle buste paga inferiori a 1.500 € (i famosi 80 euro, ovvero 1.000 in più all’anno per circa 10 milioni di lavoratori), è stata dimezzata l’IRAP, la tassa sui posti di lavoro (in 23 anni di attività di impresa è stata la prima volta: posso dirlo per esperienza diretta), il canone TV è stato fatto pagare a tutti e quindi abbassato, la lotta all’evasione è passata da 12 a 20 miliardi recuperati, è stata finalmente introdotta la dichiarazione dei redditi precompilata.
Sul piano del welfare, sono state prodotte la legge sul “Dopo di noi” (per non lasciare soli i genitori con figli disabili), il Reddito di Inclusione (non una misura assistenziale, ma un aiuto temporaneo per rimettersi in gioco), il Bonus Bebè, la legge per ridurre lo spreco alimentare e destinare le eccedenze a iniziative di solidarietà sociale.
Sul piano del contrasto al crimine, è stata varata la legge che definisce i reati contro l’ambiente, la legge di contrasto al caporalato, il codice antimafia, l’omicidio stradale, l’ANAC (Autorità Nazionale Anti Corruzione, guidata da Raffaele Cantone). Cose di cui si parlava da decenni, senza mai concludere. Ed è stato reintrodotto il falso in bilancio, cancellato da Berlusconi.
Sul piano dei diritti individuali, sono stati introdotti il divorzio breve, le unioni civili e il biotestamento, che sia pure con alcuni dubbi vanno sicuramente nella direzione di adeguare la legislazione ad una sensibilità diffusa e trasversale ai diversi schieramenti politici.
Sul piano delle politiche del lavoro (dove più si sono dette e scritte falsità), prendo a prestito la sintesi fatta dall’amico Riccardo Giordani. La nuova disciplina dei licenziamenti ha prodotto una drastica riduzione del contenzioso giudiziale, contribuendo ad incentivare gli investimenti e la creazione di posti di lavoro. Sono stati aboliti i CO.CO.PRO e introdotte regole che impediscono di costringere a lavorare con partita IVA chi è in sostanza un lavoratore dipendente, a contrasto delle forme più diffuse di precariato. Il reintegro pieno del lavoratore in caso di licenziamento per discriminazione o rappresaglia non solo non è stato abolito, ma è stato esteso a tutti coloro che, invece di essere assunti come CO.CO.PRO o finta partita IVA, hanno oggi un regolare contratto da dipendente. In sostanza, quindi, le tutele essenziali dell'articolo 18 rimangono e si estendono a tanti che prima non ne potevano godere. Tutti i nuovi assunti godono dei diritti contrattuali e di legge: ferie, malattia, maternità, retribuzione prevista dal contratto. E' stato potenziato e reso universale il trattamento di disoccupazione, perché è fondamentale fornire un adeguato reddito a tutti coloro che perdono il lavoro. È stata posta fine all'odiosa pratica delle dimissioni in bianco, col risultato che le dimissioni "volontarie" sono fortemente diminuite. Nella sostanza, come scrive Riccardo, la nuova disciplina protegge il lavoratore NEL mercato del lavoro, non DAL mercato del lavoro, allineando il diritto del lavoro ai migliori standard europei.
E forse sarà un caso, ma in 5 anni il PIL è passato da -2,4 a +1,6 e gli occupati da 22 a 23 milioni. I nuovi occupati sono per la metà a tempo indeterminato. Certo, bisogna operare perché questa quota cresca (e non è facile in un mercato dove i consumi sono volubili e premiano il low cost anche fondato sullo sfruttamento e sul precariato). Ma la direzione intrapresa è quella giusta.
Vogliamo confrontare questo pacchetto (riassunto qui in modo parziale) con quanto prodotto dai governi precedenti, e in particolare con i risultati del decennio a guida Berlusconi? Vogliamo fare un bilancio in termini di equità sociale, di redistribuzione delle risorse, di incentivo alla creazione di posti di lavoro, tra le scelte fatte in questa e in altre legislature? Cosa hanno fatto in queste materie forze politiche come Lega e Forza Italia, quando è toccato a loro governare? E cosa pensiamo che saranno in grado di fare i 5 Stelle, che fanno dell’inesperienza e dell’improvvisazione la loro cifra distintiva e orgogliosa? Vogliamo chiedere agli amici che vivono a Roma? E cosa possiamo attenderci da una forza politica come Liberi e Uguali, creata in laboratorio da politici di professione, e sostenuta da benestanti di sinistra, che ha così tanto senso delle Istituzioni e rispetto per la distinzione dei ruoli da aver messo a capo del partito la seconda carica dello Stato (il presidente del Senato), che potrebbe essere chiamato a sostituire il presidente della Repubblica nel ruolo di arbitro e garante della democrazia? E vogliamo ricordare che 5 anni fa il famoso Spread (ovvero l’indice di sfiducia nella capacità italiana di pagare i debiti) era salito a oltre 500 punti mentre oggi è a 130?
(Spiegazione dello Spread in lingua corrente: 5 anni fa per trovare sul mercato finanziario acquirenti disposti a comperare i titoli del debito pubblico italiano, ovvero disposti a finanziare nostre casse pubbliche, bisognava offrire tassi di interesse di oltre 5% superiori a quelli tedeschi. Oggi è sufficiente offrire l’1,3 %, ovvero la fiducia è aumentata e il rischio di insolvenza è percepito dal mercato come meno probabile).
Per questo non ho dubbi. Per questo domenica voterò convintamente per il PD. Perché la linea di demarcazione oggi è molto chiara, e divide i riformisti dai conservatori, di destra e di sinistra. E perché la lotta alla povertà si può fare solo con il lavoro, e il lavoro ha bisogno di attività economiche capaci di autosostenersi e di generare reddito. Non di aiuti parassitari o assistenze a carico della collettività.
Capisco che questo PD non scaldi i cuori e non accenda le passioni (compito d’altronde che non spetta propriamente ad un partito politico). Ad esempio, in tema di immigrazione, la posizione “moderata” del PD non accontenta né i talebani dell’italianità, né gli estremisti di ”Accogliamoli tutti”. Ma non si tratta di una semplice mezza misura tra gli opposti: si tratta di dirci la verità, ovvero che l’idea di azzerare il flusso migratorio è un’illusione (anche di fronte alla nostra denatalità), ma è altrettanto illusorio pensare di accogliere chiunque fugga da guerre o miseria senza una prospettiva occupazionale, che significa possibilità di lavoro e autosostentamento. In questo senso mi riconosco nelle politiche del ministro Minniti e nell’idea di flussi controllati e di un’accoglienza sostenibile. Che è quella del PD.
9) NOTARELLA FINALE: PIERFERDINANDO ED EMMA.
Concludo con una nota a margine. Alcuni amici mi scrivono di avere difficoltà davanti al nome di Pierferdinando Casini (candidato all’uninominale per il Senato a Bologna, vedi sopra al punto 6). Io sinceramente vedo in lui difetti comuni a molti altri candidati della coalizione di centrosinistra, tra cui l’avere fatto sempre e solo politica, come abbiamo visto. Per il resto, a chi storce il naso desidero far notare tre cose.
- In un sistema non più maggioritario (dove chi arriva primo vince tutto e governa), ma proporzionale, dove ognuno corre per sé, per governare occorrono alleanze, e le alleanze si fanno tra diversi (altrimenti si starebbe nello stesso partito), con chi ci sta e condivide un programma di governo. In questo senso Casini è stato un alleato fondamentale per consentire a Renzi prima e a Gentiloni poi non solo di galleggiare (come avevano fatto molti governi prima), ma di portare avanti la serie di provvedimenti che abbiamo rapidamente scorso. Casini e la sua lista (Civica Popolare) non fingono di essere di sinistra, ma da moderati hanno scelto di appoggiare il progetto riformista portato avanti dal PD e dal PD di Renzi in particolare.
- Rispetto a molti politici attuali, che alzano la voce e vanno spesso sopra le righe (salvo poi smentirsi di lì a poco), Casini è educato, ponderato in quanto dichiara, difficilmente costretto a fare retromarce rispetto ad affermazioni fatte o posizioni assunte. Questo equilibrio e questa assennatezza mi sembrano un valore oggi più di ieri, e non sono tanti i politici che possono vantarlo.
- "Ma è stato per anni alleato di Berlusconi", col quale poi ha rotto. Vero, ma lo stesso possiamo dire di Emma Bonino, che fu eletta eletta deputata nel 1994 in quota maggioritaria dalla coalizione di centrodestra e collegata alla lista proporzionale della Lega Nord. E che si iscrisse al gruppo parlamentare di Forza Italia e pochi mesi dopo fu indicata da Berlusconi nel ruolo di Commissario Europeo. Eppure oggi è anche lei alleata del PD e anzi è considerata un contrappeso "di sinistra" proprio rispetto a Casini.
Se siete arrivati fino a qui siete degli eroi!
Buona domenica e buon voto a tutti.
Andrea De Pasquale – www.andreadepasquale.it