Bologna, 11 gennaio 2009
Cari amici,
recupero inviando con qualche ritardo il mio periodico rendiconto, dedicato all'attività svolta in Provincia nel mese di
dicembre, e anche alla situazione politica generale. Rammento che per essere eliminati da questa lista basta farmelo presente con una mail, mentre chiedo a quanti cambiano indirizzo - e desiderano continuare a ricevere questi aggiornamenti - di segnalarmi il nuovo, e quello di eventuali amici interessati.
Come le altre volte citerò sommariamente i temi, rinviando al mio sito (
www.andreadepasquale.it ) per le argomentazioni e i dettagli. Quattro i punti principali:
1) VIABILITA' E TRASPORTO FERROVIARIO: QUANTO MANCA ALL'ALBA?
2) DOPO LE PRIMARIE: UN RISULTATO, DIVERSE PROSPETTIVE.
3) GIUSTIZIA: RIFORMARE O INDEBOLIRE?
4) RED APPRODA A BOLOGNA. UNA NOTA SU PD E DALEMISMO.
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1) VIABILITA' E TRASPORTO FERROVIARIO: QUANTO MANCA ALL'ALBA?
Dall'avvio della
tratta veloce tra Bologna e Milano il trasporto ferroviario locale non pare avere tratto beneficio, anzi. Se ho capito bene, la concomitanza di treni ad Alta Velocità e di treni locali nel collo di bottiglia della stazione
ha aumentato i ritardi di questi ultimi a vantaggio dei primi, con ulteriore degrado del servizio per i pendolari, che pure vorremmo lasciassero a casa l'auto e utilizzassero di più il treno, per limitare inquinamento e congestione. In proposito cito sommariamente due proposte avanzate da
Renato Golini, presidente del Comitato utenti ferroviari Bologna-Verona: modifica degli orari (per evitare il concorso simultaneo di treni AV e regionali), e transito degli AV che non fermano a Bologna per linee ferroviarie di cintura.
Sul versante strettamente amministrativo, segnalo la delibera di
aumento di capitale della FER (Ferrovie Emilia Romagna), votata nella seduta di
consiglio del 9 dicembre, con l'auspicio che le nuove risorse finanziarie vengano finalizzate all'acquisto di nuovi treni, e il mio intervento di inizio seduta nel
consiglio del 16 dicembre, a proposito della linea Bologna-Portomaggiore, gestita proprio da FER, sulla quale ancora vedo correre convogli diesel nonostante l'avvenuta inaugurazione della linea elettrificata.
Sulla viabilità, segnalo l'incontro avvenuto (con partecipazione della Commissione che presiedo)
il 5 dicembre con i parlamentari del territorio rispetto all'urgenza di finanziare il
Nodo di Rastignano. A cui purtroppo ha fatto seguito, proprio in questi ultimi giorni, il responso negativo del
ministro Matteoli, che ha escluso finanziamenti ANAS per un'opera così importante per il nostro territorio. A favore della quale credo sia opportuno a questo punto dare battaglia anche fuori dalle istituzioni.
2) DOPO LE PRIMARIE: UN RISULTATO, DIVERSE PROSPETTIVE.
Flavio Delbono esce dalle primarie del 14 dicembre come candidato forte del PD alla carica di sindaco. Non gli mancherà il mio sostegno, come lealmente prevede il "gioco" delle primarie. Sul cui esito però è possibile una lettura diversa da quella suggerita da
Caronna in una intervista su Repubblica del 18 dicembre. "
Con Delbono è stato rotto il tabù delle appartenenze: non più ex DS o ex Margherita, ma tutti PD", è la tesi del segretario regionale. Tesi ottimista, che speriamo anche vera, se confermata negli atti e nelle scelte che attendono il partito. Ma tesi anche parziale: è evidente infatti (nel numero e soprattutto nell'età dei votanti) la traccia di
un partito abituato a istruire, più che ad ascoltare, una base pronta all'obbedienza (anche con un uso degli indirizzari che resta non chiaro e non chiarito). Una base pregiudialmente disposta a seguire le indicazioni del vertice un po' per abitudine, un po' per senso di appartenenza, in molti casi per fede (quasi religiosa) nel partito, in alcuni per opportunismo.
In questa luce la vittoria di un ex-DL scelto da un gruppo dirigente ex DS potrebbe leggersi non come un segno di libertà e di abbattimento dei vecchi steccati, ma esattamente il contrario: come conferma di sudditanza e spartizione. Come sempre, entrambe le letture contengono elementi di verità: perché Delbono, nel 50% dei voti ottenuti (non schiacciante in numeri assoluti: sono 12.000 elettori sui circa 120 mila necessari a vincere le elezioni), ha però raccolto anche - ne ho conferma diretta - un consenso personale, non riconducibile alla macchina del partito: si tratta di una quota non maggioritaria, ma politicamente significativa. Che speriamo possa creare, intorno al candidato PD, uno spazio di manovra personale un po' più vasto del minimo garantito dal partito.
3) GIUSTIZIA: RIFORMARE O INDEBOLIRE?
Sul tema divenuto ormai straripante nella cronaca politica, ovvero
la riforma della giustizia, parto dalla fine. Ovvero dalla domanda di
Elvio Fassone, parlamentare PD: "
Bene gli appelli al dialogo, ma occorre chiedersi se l'obiettivo di Berlusconi sia l'efficienza della giustizia e la riduzione dei tempi processuali o piuttosto la riduzione del controllo di legalità sulla politica e sugli affari pubblici". Questo è il punto centrale, cari amici: lo spirito con cui la maggioranza politica nazionale sta proponendo il tema giustizia, a partire dai limiti alle intercettazioni e dalla composizione del Consiglio Superiore della Magistratura, e a cui parte del PD sembra disposta (o felice) di accodarsi in nome del dialogo, a quali scopi risponde? Quali conseguenze materiali produce nel funzionamento ordinario dei tribunali? Aumenta o diminuisce la possibilità di scoprire e perseguire i reati, quindi di tutelare i cittadini?
Purtroppo ho visto emergere nelle ultime settimane
una grave debolezza culturale da parte di troppi esponenti nazionali del PD, non so se più ignari o ignavi, rispetto al controllo di legalità e al funzionamento della macchina giudiziaria. Mi limito a poche citazioni, ma gli spunti sono quotidiani, basta leggere i giornali.
Primo episodio. Lo scorso novembre il parlamento di Strasburgo nega l'utilizzo in sede giudiziaria delle intercettazioni di
Massimo D'Alema sull'affare Unipol. Proviamo a pensare cosa avremmo detto e scritto se il beneficiario della decisione fosse stato
Silvio Berlusconi. Invece, siccome il politico salvato dalle indagini grazie al ricorso all'immunità è un leader del PD, la cosa è passata in silenzio,
tra i sorrisi interessati dei parlamentari del centrodestra, in prima fila sul fronte del "garantismo" e comprensibilmente soddisfatti del "giro di vento" in atto tra i colleghi dell'opposizione. Così il primo atto del "dialogo" sulla giustizia lo possiamo datare 18 novembre, data in cui l'Europarlamento respinge la richiesta della procura di Milano di poter utilizzare i colloqui telefonici tra D'Alema e Consorte sulla scalata di Unipol a BNL, con 543 voti a favore, 43 contrari e 90 astenuti, e soprattutto con la regia del berlusconiano
Giuseppe Gargani, che ha condotto la partita prima in Commissione e poi in aula, intuendo le interessanti ricadute italiane di questo mutato e mutevole orientamento del maggior partito di opposizione sui temi della giustizia.
A seguire i casi
D'Alfonso,
Margiotta, giunta di
Napoli e altri ancora, che rendono pubbliche
una serie di "scoperte", da parte di molti dirigenti PD, degne della miglior Vispa Teresa: che stare sotto inchiesta è una esperienza sgradevole, che è più rassicurante autotutelarsi con l'immunità piuttosto che sottoporsi ad esami invasivi, che un atto giudiziario può effettivamente influenzare le partite politiche e gli andamenti amministrativi.
E via dunque alle interviste di sindaci, deputati e senatori targati PD ma evidentemente sbarcati da Marte, nelle quali si legge, ad esempio, la totale confusione tra custodia cautelare (il carcere per impedire agli indagati di inquinare le prove) e la condanna (il carcere come pena), laddove i nostri eletti dichiarano con gravità che
un magistrato non può arrestare un sindaco e poi rilasciarlo dopo 10 giorni: o sbaglia prima, o sbaglia dopo. E se invece il magistrato avesse semplicemente acquisito elementi sufficienti a comporre un quadro probatorio?
Fino ad arrivare a
Mancino, alla proposta di mettere in minoranza i magistrati nel loro organo di autogoverno (il
Consiglio Superiore della Magistratura), e di
dismettere le intercettazioni come fonte per smascherare reati e accordi illeciti. Per pura bontà parlamentare, forse potremo ancora utilizzarle per reati di mafia, terrorismo e corruzione. Peccato che molti altri crimini, orrendi e attuali, come gli stupri di gruppo o il caso del clochard ridotto a torcia umana da giovani annoiati in cerca di emozioni, siano stati risolti proprio grazie alle intercettazioni. Ma chi se ne importa? La parola d'ordine oggi è "non seguire Di Pietro".
E che importa quindi se
è falsa la premessa base a tutti i discorsi di Berlusconi sulla giustizia, ovvero che alla fine di tutte le inchieste lui è stato riconosciuto innocente?
Berlusconi, l'ho già detto e ripetuto,
è stato invece riconosciuto colpevole e condannato fino al terzo grado di giudizio per svariati reati di ambito corruttivo, ma ha evitato il carcere grazie all'effetto combinato di prescrizioni abbreviate, possibili ricusazioni e nuove incompatibilità tra magistrati (frutto di "riforme" introdotte da un parlamento guidato dai suoi avvocati, eroicamente garantisti, anche a costo di paralizzare i tribunali e mandare in vacca i processi).
Ma il famoso "dialogo" oggi ci impone di soprassedere su questi dettagli, e di esercitarci anche noi nell'arte di garantire i garantiti, ovvero gli imputati di rango, con proposte alla
Tenaglia (mettere 3 magistrati dove oggi ne basta uno, in un quadro nel quale a stento si trova quell'uno, mancando la copertura degli organici).
E pazienza per le vittime dei reati, ovvero le migliaia di cittadini e di imprese danneggiati dal malaffare e dagli abusi, che la giustizia dovrebbe tutelare, e in nome dei quali si giustifica un diritto penale. Per questa strada, di progressivo svuotamento e indebolimento del contrasto al crimine, non meravigliamoci poi se un numero sempre maggiore di persone penserà a farsi giustizia da sè.
4) RED APPRODA A BOLOGNA. UNA NOTA SU PD E DALEMISMO.
Dicembre è stato anche il mese nel quale
RED, la fondazione dalemiana, ha fatto il suo debutto ufficiale a Bologna: in pompa magna e suon di tessere da 100 Euro l'una, con il tutto esaurito e la presenza di tanti big della politica e dell'economia locale.
Conosco e stimo personalmente molti dei presenti alla cerimonia di insediamento territoriale di "
Riformisti E Democratici", ma non posso esimermi dal domandare loro se tale adesione significhi anche
l'assunzione del dalemismo a metodo politico e a criterio ispirativo dell'agire pubblico.
Cosa intendo per
dalemismo? Intendo quell'atteggiamento che inizia a manifestarsi, almeno ad occhi poco attenti e poco acuti come i miei (resto pur sempre un piccolo imprenditore come primo mestiere, e come secondo un politico locale) nel
1997, con la presidenza della Commissione Bicamerale per le Riforme Istituzionali,
che in realtà sancisce la incapacità (o la non volontà) dell'Ulivo di andare contro gli interessi di Berlusconi, evitando di affrontare quelle anomalie (conflitto di interessi, cumulo di potere politico, economico e mediatico) che in campagna elettorale erano state agitare come un pericolo per la democrazia. La sensazione si precisa nel
1998, alla caduta del primo governo Prodi, quando anziché andare alle elezioni anticipate, in coerenza con l'esito della vicenda del governo, D'Alema
con uno scatto di opportunismo preferisce non buttare via l'occasione di fare il premier. Con la storia che ne seguì in termini di rimpasti, rappezzi e logoramento della coalizione di sinistra, che aprì la strada al trionfo di Berlusconi nel
2001.
Insomma, per tenerla corta: una visione
molto tattica e poco valoriale della politica; l'idea della
mediazione come fine e non come mezzo; un fondamentale disinteresse per il merito, per i contenuti dell'azione politica, compensato da una grande attenzione per
il posizionamento, per la collocazione contingente. E poi una concezione dello status di politico come autosufficiente e riservato ai professionisti, che tradisce un certo
fastidio per la domanda di trasparenza e controllo dal basso, alla quale si risponde di malavoglia, quasi costretti, come ad una istanza populista, moralista, impolitica. In questa luce mi torna in mente l'episodio (dello scorso novembre) del dalemiano
Nicola La Torre, che durante un dibattito televisivo passa un foglietto di suggerimenti a
Italo Bocchino (del PDL, quindi avversario politico) su come mettere in difficoltà
Massimo Donadi (dell'Italia dei Valori, quindi alleato): episodio rivelatore e illuminante di una tesi implicita, meglio Berlusconi che Di Pietro.
Nessuno scandalo da parte mia, solo una domanda ai Riformisti e Democratici bolognesi:
con quali proposte, e con quali valori, intendete dare corpo alla parola Riformismo? Se vuol dire spazio al merito, alla competizione virtuosa, alla trasparenza e alla responsabilità della politica, sarò al vostro fianco. Se vuol dire invece fare una opposizione di maniera, accordarsi con chi c'è pur di autoconservarsi, indifferenti ai contenuti dell'accordo, che può prevedere mani legate alla magistratura, ricerca dell'appoggio dei Cossiga di turno, difesa della casta in nome di una supposta (e supponente) legittimazione che rende l'eletto (o meglio il cooptato) insindacabile da parte del
demos, del popolo dal quale pure si pretende di trarre il
kratos, il potere e l'autorità, allora non ci siamo.
Per quanto largo sia il PD, non ci può essere posto per tutto e il contrario di tutto. O almeno non ci sarebbe posto per me.
Un caro saluto a tutti, e buon 2009.
Andrea De Pasquale
consigliere provinciale del PD
presidente IV Commissione "Pianificazione - Trasporti - Viabilità"
Provincia di Bologna
www.andreadepasquale.it