Andrea De Pasquale

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Bologna e dintorni, aprile - maggio 2012

Cari amici,

in un momento di tregua (speriamo definitiva) concesso dal terremoto, invio la mia nota periodica sulla politica bolognese, nella quale cerco di riassumere i fatti salienti dei due mesi trascorsi. Trovate le note precedenti sul mio sito. Rammento che per non ricevere questi messaggi è sufficiente chiedermi la cancellazione da questa lista, mentre se avete amici interessati segnalatemi la loro e-mail.

4 gli argomenti di questa volta:

1) MAURIZIO CEVENINI. LA SOLITUDINE NELLA POPOLARITA'. 

2) PASSANTE NORD, IL COSTO DELLE BUGIE. PROGETTI SBAGLIATI, OPERE AL PALO.

3) PEDONALIZZAZIONE: CERTEZZE E DUBBI, LUCI E ABBAGLI.

4) DENARO PUBBLICO, SPESA ALLEGRA. DUE ESEMPI: NEVE ED HERA.


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1) Maurizio Cevenini. La solitudine nella popolarità.

Il gesto estremo di Maurizio Cevenini ci ha gelati tutti. La città è rimasta sconvolta e agghiacciata. Il dolore è stato sincero, anche nelle stanze della politica, anche tra le file degli "avversari". Il suicidio di una persona che in qualche modo tutti conoscevamo, e che aveva tutto quello che un uomo crede di desiderare (benessere economico, cariche pubbliche, fama, visibilità, relazioni ad alto livello, prospettive di carriera...), ha scosso le nostre certezze come un terremoto.

Tra le tante cose scritte su questa vicenda, ne cito due che mi sono sembrate particolarmente sagge. Una è stata scritta da Francesco Campione (docente di psicologia medica e tanatologia) sul Corriere di Bologna:

Il Cev mi ha sposato con grande classe poco più di un mese fa. Mia moglie, appresa la notizia del suicidio, era sconvolta: «Perché quel giorno non ci ha detto niente sapendo che ci occupiamo proprio di questo?». Non poteva occuparsi di sé in quel momento, doveva sposarci. E io, allora, che ho notato la sua tristezza, perché non gli ho detto niente? Dovevo sposarmi! Ecco dove la responsabilità è di tutti quando qualcuno si suicida: impegnati a fare altro, non utilizziamo a pieno l'unico potere che abbiamo di proteggere la vita di chi non vuole vivere più, la solidarietà e l'amore (...)

La seconda è stata scritta da Luigi Mariucci, compagno di partito:

Caro Maurizio, penso alle tue ultime ore e minuti passati in quella stanza, quel luogo da cui è bene andar via la sera quando gli uffici si svuotano. Lì avevamo parlato, una sera del luglio 2010, in una regione già deserta di cui commentammo la tristezza. Allora eri sindaco in pectore e pensavo di incontrare un uomo felice di realizzare il suo sogno. Fui sorpreso di vederti invece tormentato, quasi spaventato. Allora mi piacesti di più perché avvertii un senso di responsabilità e la consapevolezza di un limite. Tuttavia, a settembre, alla festa dell'Unità, sembravi in forma, convinto e sicuro. Poi quell'inaspettato crollo. Penso che da quel momento si sia rotto qualcosa tra la tua immagine e la realtà, qualcosa che forse da tempo covava dentro di te. Progressivamente è cresciuta la distanza tra te e quell'immagine, in cui non ti riconoscevi più. Ma quell'immagine, quel sorriso non potevi disconoscerli. Eri tu. Era il Cev che c'è. (...)

Personalmente, mi sono accorto davvero della sua scomparsa sabato 12 maggio, al suo funerale, dove mi veniva spontaneo cercarlo nelle prime file, in mezzo alle autorità cittadine: "Che strano, non vedo Cevenini".

Con Maurizio (5 anni di consiglio provinciale insieme) ho avuto convergenze e divergenze. Apprezzavo in lui la gentilezza, l'ironia, la leggerezza, il non prendere troppo sul serio la politica e i suoi conflitti. Era naturalmente vaccinato contro l'ideologia e l'odio politico e sociale, tendeva a capire (e a giustificare) le posizioni di tutti (anche troppo). Criticavo di lui il fatto che l'enorme capitale di consenso da lui accumulato non venisse investito in alcuna battaglia, in alcun contenuto, in alcuna azione politica (gli feci qualche proposta al riguardo, invano). Ci scontrammo sulla pratica del "firma e fuggi" (io moralista, lui uomo di mondo) nelle Commissioni provinciali, e più recentemente sul suo doppio incarico di consigliere regionale e comunale. Riconoscevo in lui una profonda signorilità e la straordinaria capacità di fare sentire importanti tutte le persone con cui parlava, anche le più semplici, e di alludere ad una certa complicità con loro, quasi a dire: mi vedi qui, in giacca e cravatta, ma io sono uno come te. Non credo fosse solo una posa.

Penso anch'io che Maurizio da tempo "non potesse occuparsi di sé", della sua vita, espropriata da quel Cev molto popolare, amato, cercato, ma anche molto costoso, esigente, tirannico. Questa sua fine, oltre che dispiacere, mi ha fatto anche un po' rabbia. Perché resto convinto che se avesse conferito quel patrimonio straordinario di notorietà e popolarità personale in una qualche impresa politica vera, anziché tenerlo per sé (salvo prestarlo al partito ad ogni tornata elettorale, col risultato di fare da scudo alle peggiori pratiche conservative, che lui stesso criticava, ma che finiva per coprire), la storia avrebbe potuto essere diversa, sia la sua personale, sia quella politica cittadina. L'unica occasione in cui parve disposto a giocarsi davvero fu la corsa a sindaco. Poi andò come andò. E da lì, forse, ha cominciato a venire meno in lui una cosa che, nella vita, conta più del benessere e del successo: una prospettiva, una speranza, un senso del futuro.

Ora, il modo migliore di rendergli omaggio sarebbe quello di imparare da lui alcuni dei tratti più apprezzati: la disponibilità nel rapporto con le persone, la convinzione di fondo di essere tutti su una stessa barca, al di là delle differenze politiche, la capacità di non prendersi troppo sul serio.

Chiudo questo ricordo con le parole dell'amico Riccardo Giordani: "Credo che il suicidio sia quasi sempre (forse sempre) anche e soprattutto una conseguenza della depressione intesa come malattia. Mi dispiace che spesso si senta ancora parlare di scelta libera, insindacabile e da rispettare. Non è libero chi sceglie sulla base di una percezione distorta della realtà". Che anche in questo Maurizio ci aiuti a tenere gli occhi aperti e fare scelte sagge.


2) Passante Nord, il costo delle bugie. Progetti sbagliati, opere al palo.

Riprendiamo il filo, dopo la mia newsletter del 5 aprile, nella quale denunciavo l'esistenza di una trattativa riservata su un tracciato del Passante Autostradale Nord molto diverso da quello inserito nei piani urbanistici di Provincia e Comuni (denuncia che ha avuto un'eco sui giornali locali, tra venerdì 6 e sabato 7 aprile).

Il vicepresidente della Provincia, Giacomo Venturi, ha replicato negando l'esistenza di qualsiasi ipotesi di tracciato diverso da quello originario, etichettando la mia ricostruzione come infondata e richiamandomi ad una maggiore "responsabilità".

Peccato che questa tesi sia smentita da una semplice rassegna stampa degli anni recenti (preziosa opera di un amico), dalla quale si può agevolmente ricavare che il tracciato più corto e la trattativa con Società Autostrade fosse tutt'altro che una mia fantasia. E peccato che pochi giorni dopo la stessa ANAS, con una nota ufficiale, abbia smentito Venturi con tanto di data (3 novembre 2011) dell'incontro in cui si firmò, presente Venturi, un verbale di accordo su un tracciato alternativo e lontano da quello inserito nella pianificazione territoriale.

Ma anche qui lasciamo parlare la sequenza dei fatti.

Venerdì 6 aprile Venturi (che è assessore ai trasporti e alla pianificazione territoriale della Provincia) dirama infatti una nota che trovate integrale sul mio sito, e da cui estraggo alcuni passaggi:

"Credo che serva fare chiarezza sullo stato del Passante Nord. Le voci che si stanno diffondendo su tracciati alternativi, sul cambio delle condizioni che ne rendono possibile la realizzazione, sulla mancata banalizzazione sono infondate. Le carte parlano chiaro, l'unico tracciato su cui confrontarci è quello definito dallo studio di fattibilità che abbiamo realizzato e inserito nel PTCP...".

Dunque, secondo la massima autorità provinciale io mi sono inventato tutto, le notizie che do sono "voci infondate", non esiste altro tracciato che quello originale inserito nel PTCP. Se il progetto è fermo è colpa del mancato incarico ad Autostrade. Tesi ribadita pochi giorni dopo, l'11 aprile:

Il vicepresidente della Provincia di Bologna Giacomo Venturi questa mattina ha incontrato tutti i sindaci dei Comuni coinvolti nel progetto di Passante Nord - Bologna (presente l'assessore Colombo) (...) con i quali ha condiviso la seguente dichiarazione: Non esistono alternative credibili al progetto di Passante Nord quale opera strategica per la riorganizzazione territoriale dell'Area Metropolitana bolognese, così come determinato dallo studio di fattibilità realizzato dalla Provincia. (...) Discutere quindi oggi di modifiche di tracciato non ha senso e non ha nessun fondamento e risponde più a logiche tese a rimettere in discussione scelte strategiche che in modo legittimo, democratico e trasparente sono già state adottate e condivise a tutti i livelli istituzionali. Dobbiamo evitare la sindrome da ultimo miglio che spesso ha impedito di compiere scelte importanti, che oggi sono indifferibili (...)

Quindi, è la tesi di Venturi, quello che impedisce a Bologna di realizzare opere importanti è "la sindrome da ultimo miglio", ovvero - pare di capire - il vizio del ripensamento, del continuo rimettere tutto in discussione. E insiste sul fatto che tocca ad altri agire perché il Passante vada avanti.

Nel frattempo l'assessore regionale Alfredo Peri lo scorso 25 maggio, in risposta ad una interrogazione del consigliere regionale Naldi, afferma: "...ha riferito che Società Autostrade avrebbe effettuato un autonomo studio di fattibilità che non è stato fornito alla Regione e agli enti locali, ma che costituisce il presupposto sulla base del quale la concedente Anas potrà dare mandato alla concessionaria di sviluppare i successivi livelli progettuali".

Quindi la tesi del duo "Peri&Venturi" in sostanza è la seguente: non esiste tracciato alternativo; oppure, in subordine, se esiste non ne sappiamo nulla".

Peccato che non sia così. E basta uno sguardo agli articoli di giornale usciti negli ultimi anni sull'argomento a capirlo. Ad esempio, lo stesso Peri lo scorso 23 gennaio in una intervista dichiarava:

"...rispetto all'ipotesi della provincia, che prevedeva un tracciato ampio, e a quello di Società Autostrade, che optava per uno molto stretto, la soluzione sarà intermedia fra le due. La lunghezza complessiva si attesterà sui trenta chilometri".

Dunque, Peri Alfredo che contraddice Alfredo Peri: un caso di omonimia o di smemoratezza?

E in molti altri articoli, tra luglio 2010 e novembre 2011, si colgono tracce e indizi della spinta a cambiare il tracciato, con principale attore Società Autostrade, e con le istituzioni locali (Regione e Provincia) informate, consapevoli e presenti agli incontri (vedi le dichiarazioni del 31 ottobre 2011 di Melegari, presidente dei Costruttori di Bologna).

Ma la botta finale alla strategia dissimulatoria arriva il 20 aprile, con una nota che ribalta entrambe le tesi di Regione e Provincia: il progetto non è fermo a Roma ma in viale Aldo Moro, e sul tracciato più corto ci sono stati, con gli enti locali, non solo numerosi incontri, ma anche un accordo scritto, datato 3 novembre 2011. Leggere per credere

Insomma, Alfredo Peri e Giacomo Venturi hanno condiviso con Anas un percorso alternativo a loro insaputa. E' già successo ad altri. Non è il primo caso.

In conclusione, non possiamo esimerci da alcune domande.

Come si fa a restare impassibili di fronte a una tanto evidente smentita al racconto dei fatti sinora fatto proprio da Provincia e Regione nella persona dei due assessori competenti per materia?

Come si fa a non capire che se a Bologna negli ultimi 25 anni non si è riusciti a realizzare alcuna infrastruttura importante (metropolitana, tram, Servizio ferroviario metropolitano, Civis, ora People Mover), lo si deve proprio a questo metodo, ingannevole e furbesco, farcito di mezze verità e continue ambiguità, di numeri addomesticati, di carte rimescolate e di tecnici compiacenti?

Ha ragione Venturi a dire che "rischiamo la marginalizzazione economica del nostro territorio". Ma se corriamo questo rischio è per questo atteggiamento delle istituzioni. E' proprio questo - cari amici, cari giornalisti, cari costruttori - il male che ci appesta, la malattia che ci paralizza, il motivo dell'incapacità di Bologna di portare a termine un solo progetto serio di mobilità. Non la "sindrome dell'ultimo miglio", ovvero l'opera di informazione che qualcuno porta avanti (spesso fuori dalle istituzioni) sui progetti, sui costi, sui rischi, ma proprio il contrario, ovvero l'opera di opacizzazione e forzatura spesso praticata da amministratori più fedeli a una "linea di partito" che alla realtà dei fatti. Se vogliamo finalmente progettare e realizzare qualcosa di serio e di utile, è questo metodo che dobbiamo riconoscere ed estirpare.


3) Pedonalizzazione: certezze e dubbi, luci ed abbagli.

Da sabato 12 maggio il centro di Bologna è chiuso non solo alle auto, non solo agli scooter, ma anche agli autobus. E anche ai mezzi dei disabili. Sono stato per due sabati in centro, ad osservare ed ascoltare, e purtroppo i dialoghi avuti con cittadini, vigili, negozianti, hanno confermato i timori che avevo già espresso in varie sedi (tra cui la famosa Direzione del PD del 7 dicembre scorso). Vedo di riassumerli.

Un centro storico - ma direi un territorio - meno inquinato e rumoroso è nei desideri di chiunque. Chi solleva dubbi sul piano di pedonalità varato dalla giunta non lo fa perché non condivida l'obiettivo di una maggiore vivibilità, ma per un banale (ed enorme) problema di accessibilità.

Infatti dal 12 maggio ogni weekend non potrà più transitare nella T nessun mezzo motorizzato, né privato né pubblico. Gli scooter in particolare sono inoltre progressivamente banditi anche nei giorni feriali, e i pochi parcheggi finora esistenti (e insufficienti) sono stati oggetto, negli ultimi mesi, di ulteriori cancellazioni: l'assessore Andrea Colombo il 27 aprile dichiara: "Alla luce delle nostre stime, nella Zona Alta Pedonalità moto e scooter passeranno dagli attuali 16.700 accessi a 3.600. Il divieto assoluto di transito nella T (Indipendenza, Ugo Bassi, Rizzoli) le ridurrà dell'80%".

Personalmente condivido diversi dubbi sugli effetti del piano presentato dal Comune. Per spiegarmi farò due considerazioni; una sociologica, una trasportistica. Iniziamo da quella sociologica.

Come ho ripetutamente verificato da alcuni anni a questa parte, la classe dirigente bolognese (ma non solo) è "sociologicamente ignorante" delle dinamiche e dei problemi dell'economia, dell'impresa, del lavoro.

A parte qualche rara e felice eccezione (penso al mio ex collega consigliere provinciale Valter Conti, già sindaco di Ozzano e anche - qui sta il miracolo - titolare di una piccola impresa), in 13 anni di frequentazione della sinistra bolognese (da quando nel ‘99 fui eletto al quartiere San Vitale) non ho conosciuto quasi nessuno che, avendo ruoli di responsabilità nel partito di governo o nelle istituzioni, avesse una esperienza di lavoro in proprio, come artigiano, commerciante, piccolo imprenditore, professionista sul mercato (dico "sul mercato" perché esistono anche avvocati e consulenti che lavorano per un committente unico, di emanazione politica o sindacale: non è questo che intendo).

Detta in sintesi, nessuno tra questi amministratori e dirigenti di partito ha mai gestito una attività propria, ha mai dovuto rispondere personalmente (ovvero rimettendoci di tasca propria) di eventuali ammanchi o perdite, ha mai sperimentato cosa vuol dire assumere dei lavoratori (ovvero assumersi impegni e responsabilità verso di loro), ha mai provato cosa significa iniziare l'anno (o la giornata) avendo costi certi e ricavi incerti, con un sistema fiscale soffocante che tassa non i tuoi guadagni, ma la tua esistenza in vita come soggetto economico.

Abbiamo cioè una classe politica totalmente ignara di cosa significhi avere una responsabilità economica diretta, personale, non scaricabile su altri o altro.

I numerosi casi di suicidio tra portatori di questa responsabilità economica diretta, che di recente si sono fatti molto frequenti (32 da inizio 2012: uno di questi era un mio caro amico), segnalano drammaticamente - se mai ce ne fosse bisogno - di questo stacco, tra chi ha fonti di reddito tranquille, sicure, garantite, legate in qualche modo alla spesa pubblica, e chi invece deve strappare giorno per giorno il sostentamento proprio e dei suoi collaboratori in un mercato aperto, esposto alla concorrenza, con uscite immediate e incassi sempre rimandati, e credito negato.

Esiste poi un pregiudizio particolare contro i commercianti, quasi un retaggio della propaganda antisemita (l'ebreo affarista e avido, intento ad accumulare ricchezze a danno dei concittadini). Ecco un paio di esempi. Il 22 febbraio scorso gli avvocati di Bologna, riuniti contro le liberalizzazioni (che avrebbero messo a rischio le tariffe minime garantite) coniarono lo slogan: "non siamo né bottegai né carrozzieri". Vasco Errani, presidente della Regione, al Forum Metropolitano dello scorso 29 marzo, parlando di welfare dice "Dare un servizio alle persone non è, lo dico spesso, come vendere un frigorifero". Lo aveva detto infatti anche il 6 ottobre, a valle dell'omelia di Caffarra sulla sussidiarietà e la collaborazione pubblico privato.

Insomma, il commerciante come esempio di parassita, profittatore, portatore di interessi divergenti, e confliggenti, rispetto a quelli collettivi.

Ma è il lavoro imprenditoriale più in generale a collezionare giudizi sprezzanti da parte di questa dirigenza politica. Prendiamo il caso dello "sfratto" del Lamborghini Day da piazza Maggiore: la casa automobilistica di San'Agata Bolognese aveva organizzato un raduno di proprietari di Lamborghini da tutta Europa, che per un weekend avrebbero soggiornato a Bologna. Il Comune ha negato l'accesso al centro, con la conseguenza di 200 camere di albergo disdette, e un'occasione di promozione e di marketing cittadino sfumata (un proprietario di Lamborghini ha solitamente una certa capacità di spesa, e di passa parola). Matteo Lepore, assessore proprio al marketing urbano (e dipendente, ricordiamolo, di quel sistema Cooperativo destinatario degli appalti del Civis, del People Mover, dello sgombero della neve, ecc.), cosa dichiara al riguardo? "Piazza Maggiore non è di proprietà di Lamborghini" (vedi le cronache di tutti i giornali locali del 27 aprile 2012). L'esponente della pubblica amministrazione (e del sistema economico ad essa intrecciato) mette in riga l'azienda privata (che peraltro aveva chiesto un permesso, non preteso una servitù) per gli applausi dei fan del "pubblico è bello, privato è brutto".

E Danilo Gruppi, segretario della CGIL provinciale di Bologna, non aveva forse dichiarato, il 22 marzo, "abbiamo tutta l'intenzione di fare del male ai padroni"? (Seguì mia risposta, con breve polemica sui giornali). E Andrea De Maria, ex segretario provinciale del PD di Bologna, in forze alla segreteria nazionale di Bersani (ma stipendiato, e lautamente, dal partito di Bologna) non si era forse schierato con lo stesso Gruppi nella polemica che ne era seguita?

D'altronde, a valle di una direzione PD, ebbi personalmente da discutere proprio con i nostri giovani assessori, che asserivano, circondati da fidi sostenitori di partito, che "i privati rischiano sempre di volerti vendere qualcosa per loro interesse, mentre il dirigente pubblico è per definizione imparziale".

Ma andiamo con la considerazione trasportistica.

La giunta, all'atto di presentare il piano definitivo (fine aprile), ha voluto supportarlo con una serie di cifre. Che però confermano più i dubbi che le certezze. Ad esempio, l'assessore Colombo ha dichiarato:

"In 6 anni gli accessi al centro storico sono passati, nel giorno di sabato, da 29 mila a 36 mila. Negli stessi anni nei giorni feriali, da lunedì a venerdì, sono passati da 41 a 37 mila".

Questi numeri certificano la forte domanda di accesso al centro storico del sabato, a fronte del calo dei giorni feriali, e rafforza la tesi dei commercianti per cui il sabato è il giorno fondamentale per la tenuta delle loro attività economiche.

Inoltre i numeri in possesso dei tecnici del traffico di Bologna ci dicono che in un sabato medio si registravano, nel nucleo centrale (la T ora pedonalizzata) circa 100.000 (centomila) spostamenti mediante autobus (in ingresso e in uscita), e circa 15.000 mediante motocicli e ciclomotori. Invano qualcuno di noi ha cercato di far notare come tagliare fuori 115.000 (centoquindicimila) accessi al centro, in una città di 380.000 abitanti, non sia cosa da poco, dal punto di vista non solo economico, ma anche sociale e relazionale.

Nulla da fare. Andrea Colombo tira dritto. Con lo sguardo di chi ha visto la luce, e non può più attardarsi sulle quisquilie terrene, spiega al mondo e a sé stesso che togliere tutti i veicoli a motore (privati e pubblici) dalla T è una svolta ambientale, la scelta strategica per una mobilità sostenibile, la chiave di volta per cambiare stile di vita a Bologna e ai bolognesi. E il partito che segue, credendoci (o fingendo di crederci).

Sarà davvero così? Personalmente, e più modestamente, osservo che le pedonalizzazioni dei centri di medie città europee che ho visitato (Barcellona, Lione, Monaco, Zurigo, Grenoble, Valencia, Rouen) sono affiancate da grandi parcheggi a ridosso delle zone pedonalizzate e insieme da sistemi a grande portata e grande frequenza (tram, metropolitane) in grado di garantire accessibilità rapida e comoda alle stesse zone interdette al traffico privato. Zone che residenti e furgoni di artigiani e commercianti possono raggiungere, sia pure con disciplina (limiti di velocità, parcheggi ordinati, fasce orarie, ecc.) Appena fuori dall'oasi pedonale, arterie a 4 corsie. E a Bologna? A Bologna invece accade il contrario. Ovvero, si registra l'unico caso al mondo in cui alla chiusura del centro ai mezzi privati fa riscontro non un potenziamento, ma un indebolimento del trasporto pubblico.

Ma con tutto ciò, nulla arriva a turbare l'olimpica determinazione della giunta (trascinata dall'imperturbabile Colombo, refrattario ad ogni dubbio). Tra le sue certezze, condivise dalle "giovani leve in carriera" del PD, il disprezzo sostanziale del privato che si guadagna la pagnotta rischiando sul mercato, e la sicurezza che sigillare la T (circa 1,5 km sui 900 km di strade comunali) ribalti le sorti ambientali del territorio cittadino.

Anche lo scandalo - ricorrente nelle discussioni via Facebook - sul fatto che "il commercio a Bologna si basa sui parcheggi in doppia fila, quindi sull'illegalità", è un'arma a doppio taglio: l'incapacità dell'amministrazione di gestire la mobilità (vedi cantieri del Civis) va forse imputata ai commercianti? Da cittadino, come faccio se non ho alternative al parcheggio in doppia fila? Prendiamo la Stazione ferroviaria: provate voi a scaricare un passeggero senza commettere svariate infrazioni stradali, data la conformazione della mobilità nella piazza Medaglie d'Oro.

Questa giunta, e una certa componente del PD, sembra non capire che il primo problema, per molti bolognesi, non è quello del tempo libero, del divertimento, del passeggio (cose per cui il centro pedonale in effetti si presta bene). Che moto e scooter espulsi dal centro servissero a lavoratori subordinati e liberi professionisti per svolgere il loro mestiere è un dettaglio trascurabile.

Difficile non cogliere un collegamento tra la mentalità sottostante alla difesa ideologica e dogmatica dei Tdays e quella che strizza l'occhio allo sballo notturno nel Pratello e in via Petroni: dormire (esigenza primaria per chi lavora) vale meno che divertirsi facendo rumore fino a tardi.

E torniamo all'inizio, al tema sociologico. Con la scelta della giunta di non presentarsi, qualche settimana fa, al consiglio comunale durante il quale i commercianti hanno voluto esprimere la loro protesta (unica eccezione positiva, l'assessore Rizzo Nervo, pure giovane ma meno incline di altri all'autosufficienza e all'arroganza).

Stia bene attento il sindaco, a non farsi troppo trascinare dal dogmatismo pedonale. Il confine tra vedere la luce e prendere un abbaglio è piuttosto labile.


4) Denaro pubblico, spesa allegra. Due esempi: neve ed Hera.

Il rigore verso l'economia privata non è purtroppo replicato in tema di spesa pubblica. Vediamo due episodi.

Primo episodio. Nelle scorse settimane sono stati resi noti i conti definitivi dell'emergenza neve. Su complessivi 24 milioni di danni, il solo sgombero delle strade (ad opera della società BGS, Bologna Global Service, della galassia cooperativa legata al famoso CCC, Consorzio Cooperative Costruzioni) ha pesato per 8,6 milioni sui circa 900 km di strade comunali. Nelle stesse settimane, la Provincia ha speso 1,3 milioni per lo sgombero neve su 1400 Km di strade provinciali, di cui buona parte in montagna. Come è possibile tanta differenza? 

Secondo episodio. A fine aprile la maggioranza del consiglio di amministrazione di Hera ha confermato le retribuzioni di presidente, amministratore delegato e consiglieri. Rispettivamente: 380.000, 430.000 e 50.000 Euro all'anno (80.000 per i consiglieri con qualche incarico). Questo nonostante la richiesta di alcuni sindaci (tra cui quello di Minerbio, Lorenzo Minganti) di un "bel gesto" di rinuncia a una parte di questi ricchi (e poco giustificati) emolumenti.

Infatti, 400.000 mila euro all'anno sono 10 volte uno stipendio normale, ed è difficile capire quali competenze e quali responsabilità (perché nella vita professionale sono queste due le cose che dovrebbero determinare il "prezzo" di una persona) abbiano i vertici di una azienda che fa utili in regime di monopolio e che ha come committente principale le pubbliche amministrazioni che sono anche socie.

E' difficile anche capire come il fatto di andare una volta al mese a firmare una presenza al Consiglio di Amministrazione possa valere 50.000 Euro (che equivalgono a un discreto stipendio: circa 2.000 netti al mese), se non dentro logiche di clientela o di premio alla fedeltà politica. Gli 80.000 Euro ai consiglieri che hanno qualche incarico (equivalenti a oltre 3.000 euro al mese) suonano addirittura come beffa: certificano che i 50.000 sono il prezzo del non fare niente.

Purtroppo, con oltre il 60% dei voti, il CdA di Hera ha confermato tutte queste cifre, snobbando l'appello dei sindaci. Tradotto in politica, il PD, che è maggioritario nelle amministrazioni che esprimono il CdA, ha scelto di non toccare questi stipendi.

Da piccolo imprenditore, che rischia in proprio e si prende responsabilità (20 addetti, mutui, fideiussioni, contratti e impegni verso clienti e fornitori...), che paga tasse su tasse, che fatica a pagare uno stipendio decente ai dipendenti (che meriterebbero di più di quello che è materialmente possibile offrirgli), che per sopravvivere risparmia su tutto, e a fine anno gli resta, quando va bene, l'equivalente di un consigliere di Hera senza incarico, vi dico che la rabbia è forte, ed è la stessa di tanti: artigiani, commercianti, partite iva, ma anche impiegati e lavoratori subordinati, nel pubblico e nel privato, che tirano avanti con stipendi risicati e prezzi in aumento.

O i partiti (compreso il PD) iniziano subito, da oggi, a rendersi conto di questa enorme differenza, tra chi suda mangiando pane e cipolla, e chi senza muovere un dito banchetta allegramente, oppure i vari Grillo dilagheranno, senza bisogno di fare politica in proprio, ma lasciandola fare, in modo suicida, agli altri.

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Nel salutarvi, rinnovo l'appello a non dimenticare il dramma dei nostri concittadini colpiti dal terremoto: l'inevitabile affievolirsi della pressione mediatica non ci porti ad allentare la nostra tensione morale, la disponibilità a dare qualcosa di noi per chi è stato più sfortunato, nella convinzione che ciascuno, con il suo personale aiuto, può fare una piccola ma essenziale differenza.

Buonanotte, e alla prossima.

Andrea De Pasquale
www.andreadepasquale.it

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