Bologna, 15 marzo 2011
Cari amici,
eccomi - con il consueto ritardo - alla nota periodica sugli avvenimenti politici del mese di febbraio di Bologna e dintorni (trovate le precedenti sul mio sito). Rammento che per non ricevere questi messaggi è sufficiente chiedermi la cancellazione da questa lista, mentre se avete amici interessati segnalatemi la loro e-mail.
Ecco i 5 argomenti di questo dispaccio.
1) DALLE PRIMARIE ALLE AMMINISTRATIVE: UN PROFILO DEI VOTANTI (E DELLA BASE SOCIALE DEL PD).
2) VERSO IL SUPERAMENTO DEL FUNZIONARIATO POLITICO: SARA' VERO?
3) LA MANIFESTAZIONE DEL 13 FEBBRAIO: IL TESTA-CODA DEL FEMMINISMO BOLOGNESE.
4) IL CIVIS, LE DUE TORRI E L'ABDICAZIONE TRASPORTISTICA DI BOLOGNA (ATC IN FER)
5) ACCORDO MIRAFIORI: IN MARCIA VERSO UN "BRUTTO LAVORO"?
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1) DALLE PRIMARIE ALLE AMMINISTRATIVE: UN PROFILO DEI VOTANTI (E DELLA BASE SOCIALE DEL PD).
Il risultato delle primarie del 23 gennaio è stato bello e superiore alle attese. Ero anch'io in aiuto a un seggio, e già i dati delle 18.00 (oltre 20.000 votanti) erano un segnale che la reazione degli elettori del centrosinistra all'onta del caso Delbono era stata non di rinuncia, ma addirittura di rafforzamento alla partecipazione.
Come sappiamo, sui 28.390 votanti, Virginio Merola ha vinto con il 58,3% dei consensi, Amelia Frascaroli ha ottenuto un significativo 36%, Benedetto Zacchiroli il 5,7%. Ma l'aspetto più interessante emerge dall'indagine condotta da un gruppo di studio dell'Università di Bologna e pubblicata sull'Unità il 2 febbraio sul profilo dei votanti alle primarie.
L'età media dell'elettore delle primarie del 23 gennaio è 53 anni. Dal punto di vista sociale è soprattutto un pensionato (35%), oppure un impiegato o dipendente pubblico (27%). Nel 10% dei casi è studente o lavoratore precario. Raramente è un libero professionista (8%), un imprenditore (5%), un operaio (7%).
Il 75% di chi ha votato non ha tessere di partito, e il 23% è un "neofita", ovvero non aveva votato alle primarie del 2008 che incoronarono Delbono. Come orientamento politico, il 75% dei primaristi aveva votato PD, il 10% Sinistra, Ecologia e Libertà, il 5 % IdV, il 6% altri partiti, il 4% si era astenuto. Il 30% degli elettori non è sicuro di votare, alle elezioni vere, per chiunque esca vincitore dalle primarie.
Il 45% dei votanti ha una laurea, il 31% un diploma. Si tratta quindi di un elettorato abbastanza colto, quindi presumibilmente consapevole e informato.
Riporto in proposito il commento dell'amica Alessandra Salfi, esperta in demoscopia (è l'unica persona tra le mie conoscenze che aveva previsto un'affluenza alle primarie tra i 25 e i 30.000 votanti, ma non ci avevo creduto...). "E' stata innegabile - dice Alessandra - la capacità di mobilitazione dei neofiti da parte di Amelia Frascaroli, ma il dato che più colpisce, e che segna il vero successo delle primarie, è che il 75% dei votanti non ha alcuna tessera di partito. Questo significa che tutti i candidati hanno saputo sfondare i confini della militanza di partito, anche Merola, che, con il suo 58%, se pure avesse incassato i voti di tutti i militanti PD (20%), avrebbe comunque un patrimonio non indifferente di consenso extra-partito".
E Marco Valbruzzi, ricercatore a Scienze Politiche e coordinatore della ricerca, nota che i lavoratori meno rappresentati in questo campione sono proprio quelli più esposti ai rischi del mercato (operai e partite iva), e invita il PD a riflettere su questo dato. Non posso che unirmi a questo appello, ribadendo quanto vado dicendo e scrivendo da qualche anno, ovvero che la base sociale del PD rischia di coincidere sempre più con le fasce sociali più garantite (non ricche, ma con uno stipendio sicuro), e le sue politiche di conseguenza rischiano di trascurare il lavoro non garantito (che non vuol dire solo precariato, ma anche piccola impresa, artigianato, consulenza, lavoro autonomo in genere).
Ora che si avvicinano le amministrative, oltre alle affermazioni del programma, sarà la stessa composizione delle liste a dirci il grado di attenzione e consapevolezza del PD a riguardo.
2) VERSO IL SUPERAMENTO DEL FUNZIONARIATO POLITICO: SARA' VERO?
Il segretario provinciale del PD, Raffaele Donini, ha pubblicamente aperto il dibattito, nelle settimane intorno alle primarie, sul tema del funzionariato politico, visto come fattore di conservazione. L'argomento era stato lanciato sabato 15 gennaio alla Bolognina, quando Donini aveva annunciato la fine di incarichi a tempo indeterminato nel partito, dicendo che il primo a "precarizzarsi" sarebbe stato lui.
Qualcuno nel partito ha finto di non capire, e ha preso le difese di centraliniste e segretarie. Il problema, evidentemente, non è quello, bensì il fatto che troppo spesso il partito si fa carico, nei fatti, di garantire uno stipendio a un personale politico "senza mestiere" e quindi totalmente bisognoso di essere "ricollocato" ad ogni passaggio elettorale.
Con tre effetti negativi: che questo personale sarà sempre più distante dal mondo del lavoro vero, sempre meno capace di comprenderne i problemi e le dinamiche, nei discorsi e nelle decisioni politiche. Che lo stesso personale sarà sempre più conformista e opportunista (dovendo soprattutto pensare a conservarsi un posto), sempre meno disposto a intraprendere battaglie politiche, o ad assumere posizioni coraggiose e minoritarie, scivolando via via nel grigiore burocratico. E che il partito sarà sempre meno libero nell'indicare candidati (o nominati negli enti di secondo grado), e sempre più bloccato nel ricambio dei dirigenti, funzionando più come ufficio di collocamento che come cinghia di trasmissione tra mondo del lavoro e dirigenza politica.
Se possono essere comprese le preoccupazioni - pubblicamente espresse - di persone come Simone Gamberini e Simona Lembi, che chiedono di "non abbandonare chi si è dedicato alla politica finora e non ha un mercato del lavoro dove ricollocarsi", occorre però lavorare da subito per evitare che questa situazione si perpetui. Occorre insomma far spazio in politica a persone che abbiano un solido radicamento professionale, e non cerchino con troppa evidenza nella politica l'alternativa al lavoro. Perché la libertà personale, anche dentro un partito, è condizione primaria per esercitare un'azione politica con responsabilità (che vuol dire "rispondendo" ai cittadini). Diversamente, si risponde ad altri, e si finisce per esercitare l'obbedienza.
Anche in questo caso, dalla composizione delle liste verranno segnali in grado di farci capire se l'intenzione riformista di Donini è seria o se si tratta di una "boutade" destinata a finire nell'archivio delle buone intenzioni annunciate e non praticate.
3) LA MANIFESTAZIONE DEL 13 FEBBRAIO: IL TESTA-CODA DEL FEMMINISMO BOLOGNESE.
Il 13 febbraio si è tenuta, nelle piazze di tutta Italia, la manifestazione "Se non ora, quando", allo scopo di riaffermare la dignità delle donne a fronte del modello femminile emergente dalle serate di Arcore (e non solo).
Ai cortei hanno partecipato anche molti uomini, e questo è stato un segnale importane, di come una certa cultura svilisce non solo la donna nei panni di "preda", ma anche l'uomo in quelli del "predatore".
Ma il 13 febbraio ha evidenziato anche i limiti e l'arretratezza di alcuni gruppi femministi, che da anni si arrogano a sinistra l'esclusiva su questi temi, e che hanno cercato (invano) di dare alla manifestazione un'impronta vetero femminista, con istruzioni organizzative che recitavano "Le donne stanno in testa al corteo, gli uomini in coda", e con cartelli del tipo "Fuori gli uomini dalle istituzioni".
Si tratta, a ben vedere, di una posizione culturale che tende a dividere "maschi e femmine", a declinare la questione femminile come uno scontro tra generi (tutti i maschi sono nemici delle donne), a imputare i torti di alcuni uomini (come Berlusconi, Fede, Mora...) all'intero genere maschile.
E invece il 13 febbraio, con i tanti uomini presenti a manifestare accanto alle donne, ha dimostrato come anche tra noi, maschi, siamo in molti a ripudiare un certo modello maschile, dove la donna diventa un accessorio per serate stimolanti, un drink da consumare, un trofeo da collezionare: ci fa ribrezzo, e ci sentiamo mille miglia distanti da esso, nella nostra vita prima che nelle idee, ovvero nei nostri rapporti d'amore come nei nostri rapporti di amicizia con il mondo femminile.
Rispetto a questa realtà, il femminismo storico bolognese, con il suo atteggiamento rivendicativo e conflittuale verso "gli uomini" in blocco, con la sua gelosia per temi considerati solo propri e intoccabili da altri, con la sua impostazione ideologica e minoritaria del problema della parità di genere, ha mostrato un approccio fallimentare.
Ritengo che sia venuto il momento di uscire dalla prassi, trita e ritrita, di confinare la questione femminile nella riserva indiana dei gruppi di sole donne, o peggio di affidarla politicamente ad associazioni di donne che della propria personale difficoltà (psicologica o culturale) a relazionarsi con gli uomini hanno fatto una bandiera, quindi una rendita di posizione, uno spazio di rappresentanza politica fittizia.
Per questo, con il gruppo "Verso un nuovo PD per Bologna", abbiamo scritto la seguente :
Lettera Aperta alle donne e agli uomini del Partito Democratico
Convinte e convinti come siamo
- che il ruolo delle donne è fondamentale per il bene di tutta la società;
- che la questione femminile riguarda donne e uomini;
- che la forte presenza maschile al corteo organizzato dalle donne il 13 febbraio testimonia che una nuova consapevolezza sta maturando;
- che gli uomini non possono essere tutti accomunati come "genere" ai brutti esempi che la cronaca ci propone anche ad alti livelli istituzionali;
- che per superare i profondi squilibri di genere che rendono diseguale la nostra società sono necessari il confronto e l'impegno di donne e uomini;
auspichiamo la costituzione nel Partito Democratico di Bologna di un organismo, composto di donne e uomini che, insieme, si occupino della questione femminile nel senso più alto del termine e nelle sue declinazioni più concrete, dall'organizzazione degli appuntamenti per le ricorrenze legate alle battaglie delle donne, alle misure necessarie per superare difficoltà e disparità, alla esigenza di far sentire la loro voce nella vita del nostro partito.
(Bologna, 24 febbraio 2011).
C'è chi ha giudicato "ovvia" questa lettera. Vorrei dargli ragione, ma non posso. Ricordo perfettamente infatti, quando ero consigliere provinciale, l'annosa discussione sulla "Consulta delle donne" in Provincia (che in 5 anni non riuscì a vedere la luce): quando mi capitò di interessarmi alla cosa, mi fu detto da diversi dirigenti (DS, poi PD): è un tema loro, lascialo a loro. Che suonava come dire: "La questione femminile è il loro giocattolo, lasciale fare, se non concludono nulla pazienza..." E lo stesso PD, nella sua organizzazione attuale, tende a delegare la questione femminile ad organi composti solo da donne.
Contro questa idea, che la questione femminile sia "cosa per donne", c'è ancora da molto da fare, prendendo spunto dal 13 febbraio.
4) IL CIVIS, LE DUE TORRI E L'ABDICAZIONE TRASPORTISTICA DI BOLOGNA (ATC IN FER?)
Sui giornali è rimbalzata la notizia per cui il Civis, il filobus a guida ottica (voluto da Guazzaloca e non respinto da Cofferati causa penale da 15 mln) i cui cantieri complicano da tempo la vita dei bolognesi (e continueranno a complicarla per un po') metterebbe a rischio la stabilità delle due torri. A lanciare l'allarme Enzo Boschi, il famoso vulcanologo, che poi si è corretto: non è il Civis in quanto tale, ma il complesso dei veicoli che transitano ai piedi delle torri, a minacciarne la stabilità.
In effetti il Civis, con tutti i suoi limiti, non può essere considerato peggio degli autobus che già oggi, con oltre 500 passaggi quotidiani, sollecitano la struttura millenaria del nostro amato simbolo cittadino.
Il suo peso infatti tocca le 30 tonnellate, ma i Mercedes Citaro snodati oggi in servizio ne pesano 29. Rispetto ad essi il Civis ha due vantaggi: il motore elettrico, che riduce rumore e vibrazioni, e un asfalto irrigidito, ad evitare buche e dislivelli generatori di scosse e appunto vibrazioni.
Il problema piuttosto è un altro. Me ne parlò già nel 2008 un amico ingegnere, autore di questo articolo:
http://latts.cnrs.fr/site/tele/rep1/BocquetTempelhof063%20p.%2057.pdf
Il fatto è che la guida ottica, obbligando il Civis a solcare sempre la stessa porzione di asfalto, si porta dietro la necessità di un rinforzo rigido annegato sotto l'asfalto (una sorta di rotaia sommersa), ed è proprio questo asse rigido che, nelle vie del centro storico, strette e circondate di edifici antichi e delicati (si pensi al portico dei servi), rischia di trasmettere e amplificare l'onda delle vibrazioni. Il dibattito politico però non mi risulta che abbia mai affrontato questo tema, fermandosi a considerazioni di tipo estetico.
Ma il vero oltraggio alle due torri, intese come icona della capacità di autogoverno cittadino, viene da un'altra decisione politica, guarda caso sempre inerente i trasporti. Si tratta della ventilata, e a quanto leggo pianificata, fusione tra ATC (l'azienda di trasporto pubblico di Bologna e provincia) e FER (Ferrovie Emilia Romagna, la società regionale che gestisce alcune linee ferroviarie, tra cui la Bologna-Portomaggiore, e alcune linee di bus).
Questo progetto va nella direzione esattamente contraria a quanto chiedeva il documento unitario (ovvero votato da tutte le forze politiche) predisposto in occasione del Convegno "La cura del Ferro" del 12 febbraio 2007, ed approvato all'unanimità dal Consiglio Provinciale, sul trasporto metropolitano a Bologna.
In quel documento, da me redatto dopo un'istruttoria di diversi mesi, si evidenziava la necessità di una regia bolognese unica tra i diversi sistemi di trasporto (su gomma e su ferro), per eliminare le attuali sovrapposizioni e inefficienze, e finalmente specializzare le varie modalità (su gomma le tratte orientate alla capillarità, su ferro quelle di penetrazione in città, ad evitare le code degli assi stradali).
Con la proposta di fusione invece si toglie a Bologna anche quel poco di autonomia che aveva (ATC) per conferire il governo del trasporto cittadino e metropolitano ad una regia regionale (FER), interessata soprattutto al mantenimento di equilibri politici (vedi il dannosissimo policentrismo che ha moltiplicato fiere, università e aeroporti di respiro appena provinciale, impedendo l'affermarsi di gerarchie territoriali e quindi di poli competitivi a livello nazionale e internazionale). Una fusione, insomma, che non s'ha da fare.
5) ACCORDO MIRAFIORI: IN MARCIA VERSO UN "BRUTTO LAVORO"?
Veniamo all'ultimo argomento di questa newsletter, promesso nella precedente.
Il 13 e 14 gennaio oltre 5.000 lavoratori dello stabilimento Fiat di Mirafiori (il 95% del totale) hanno votato un referendum sull'accordo posto da Marchionne (Amministratore Delegato della Fiat) come condizione per il rilancio della Fiat in Italia e firmato, il 23 dicembre, dai sindacati FIM, UILM, FISMIC E UGL (non dalla FIOM). Hanno prevalso i favorevoli, sia pure di poco (54,3 %), ma in alcuni reparti (es. montaggio, lastratura) era prevalso il no.
Vista la divergenza che questo accordo ha aperto nel pubblico dibattito e anche all'interno del PD, ho provato a leggerlo. Lo trovate qa questo link: http://www.ilsole24ore.com/pdf2010/SoleOnLine5/_Oggetti_Correlati/Documenti/Economia/2010/12/Testo-Mirafiori.pdf
Ecco una sintesi di quanto ho capito.
5.1 - Le condizioni richieste e l'investimento promesso
In primo luogo l'accordo è evidentemente teso ad arginare il fenomeno dell'assenteismo in fabbrica, già al centro del caso Pomigliano. Per questo si istituisce una commissione paritetica (tanti di parte sindacale, tanti di parte aziendale), che valuta l'andamento delle assenze di semestre in semestre. Per il primo semestre 2011, se le assenze per malattia superano il 6%, dal 1 luglio l'azienda non riconosce, per il primo giorno di assenza, alcun trattamento economico, ai lavoratori che si assentino per malattia di durata inferiore ai 5 giorni nelle giornate che precedono o seguono una festività o le ferie o il giorno di riposo settimanale, in caso di assenze ripetute, nei 12 mesi precedenti, per oltre 2 volte nelle stesse modalità. A gennaio 2012 si rileva il secondo semestre: se l'assenteismo di cui sopra non è sceso sotto il 4%, la "carenza" di trattamento economico diventa di 2 giorni. Negli anni successivi la soglia tollerata cala al 3,5%.
La commissione paritetica individuerà i casi meritevoli di fare eccezione. Sono comunque esclusi i lavoratori colpiti da malattie croniche quali: dializzati, neoplastici, epatitici, malattie cardiache, tbc o altre che richiedono terapie salvavita.
In secondo luogo, l'accordo interviene decisamente sui tempi di lavoro (turni, pause e straordinari) e la sua organizzazione. I turni di lavoro potranno essere modulati a seconda dell`andamento del mercato. I 3 turni giornalieri (dalle 6 alle 14, dalle 14 alle 22, dalle 22 alle 6) potranno essere organizzati in diversi "schemi".
Lo Schema 1 prevede 15 turni settimanali (8 ore x 3 turni x 5 giorni), con ciclo individuale 1°, 3°, 2°.
Lo Schema 2 prevede 18 turni settimanali (8 ore x 3 turni x 6 giorni, sabato compreso), con ciclo individuale 3°, 2°, 1°, alternando settimane a 6 e settimane a 4 turni.
Gli addetti alla manutenzione e alla centrale vernici lavoreranno sempre su 21 turni (7 giorni).
A livello sperimentale, viene introdotto un terzo Schema, che prevede 12 turni settimanali (2 turni giornalieri di 10 ore x 6 giorni). Secondo questa modulazione di orario, gli operai saranno impegnati alla catena di montaggio 10 ore, per 4 giorni alla settimana, avendo diritto ai 3 giorni successivi di riposo.
Il "turno centrale" (quello dei lavoratori fuori dal ciclo continuo) resta dalle 8 alle 17, con un'ora di pausa non retribuita, e con un margine di flessibilità in ingresso (dalle 8 alle 9).
Il limite annuale per lo straordinario è alzato dalle attuali 40 ore a 120. L'azienda può richiederlo con 4 giorni di anticipo e terrà conto di esigenze personali entro il limite del 20%, con sostituzione tramite personale volontario.
Sulle linee a trazione meccanizzata, si passa dagli attuali 40 minuti di pausa (2 da 15 e 1 da 10 minuti) a 30 minuti (3 pause da 10 minuti ciascuna). Per i restanti lavoratori, è confermata la pausa 20 minuti (fruibile anche in 2 da 10).
La pausa di refezione è retribuita e considerata all'interno del turno per i lavoratori addetti a turni.
L'accordo considera "positivamente superata" la sperimentazione del sistema ERGO UAS avviata a luglio 2008: si tratta di un sistema di "metrica del lavoro e di valutazione ergonomica del sovraccarico biomeccanico del corpo", che dal 4 aprile viene esteso a tutta Mirafiori.
Da un lato questo sistema di misurazione dei ritmi e dei carichi di lavoro tende a prevenire possibili danni alla salute, misurando una serie di componenti della posizione lavorativa (postura, forze, movimenti, frequenze...); dall'altro però tratta l'essere umano applicato alla catena di montaggio esattamente come un robot, tanto da ricordarmi il Charlie Chaplin di "Tempi Moderni".
In cambio dell'accettazione di questo accordo, l'azienda investirà circa 1 miliardo di Euro su Mirafiori, dove verranno prodotti i Suv per i marchi Jeep ed Alfa Romeo, per un totale di 250-280 esemplari all'anno. E la retribuzione dovrebbe crescere, ma non ho capito di quanto (c'è chi dice di poche centinaia di euro all'anno, c'è chi dice di 3.500,00 €, che non sarebbero pochi).
5.2 - L'impressione di una sfiducia reciproca.
L'impressione che ho ricavato è duplice. Da un lato l'accordo sembra rispondere al bisogno di riprendere il governo del clima in fabbrica, quasi a rimediare ad una serie di forzature ed abusi (di malattie, di permessi retribuiti) ahimé tollerate se non incoraggiate da un sindacalismo miope e irresponsabile: sono personalmente al corrente di casi di lavoratori pubblici che per mesi inviano certificati di malattia da località balneari estere, e vengono in questo protetti da sindacati che in tal modo perdono ogni credibilità.
Dall'altro lato però dalle pagine dell'accordo emerge in generale una relazione tra impresa e lavoratore molto lontana da quella fiducia e da quell'investimento reciproco che da anni sono al centro delle più avanzate scuole di management, e più concretamente sono la chiave del buon funzionamento di tante piccole e medie aziende, anche bolognesi, di cui io ho esperienza diretta.
Mi sono chiesto se questo dipenda da un fatto dimensionale (un azienda con migliaia di addetti non può avere le stesse logiche di cura e motivazione del personale che può permettersi una piccola azienda) o dal tipo di lavoro (seriale e non personalizzato: in questo senso un'azienda di servizi, o anche un'azienda di macchine automatiche, dove ogni prodotto è diverso dall'altro, valorizza molto di più la professionalità del singolo, che la cui sostituzione non è mai indolore). Non ho ancora trovato risposta.
Certo la mia convinzione (ed esperienza) è che per sfornare un buon prodotto (innovativo, competitivo, di qualità, ecc.) ci vogliano condizioni di lavoro serene e positive, dove si lavori non solo per costrizione, ma anche con un certo gusto, con un certo orgoglio delle proprie capacità e del loro risultato. E dove il lavoro non sia totalizzante, e quindi sia organizzato in modo da lasciare spazio agli impegni di vita (affettivi, sociali, familiari) del lavoratore. Il quale, quanto più si sente rispettato, e possibilmente fatto oggetto, dal suo manager, di stima e di fiducia, tanto più riverserà nell'azienda impegno e passione, contribuendo a raggiungere buoni risultati.
Qui mi pare che siamo su altri piani, ma - ripeto - forse le mie idee, maturate nel mondo delle piccole imprese, non sono oggettivamente applicabili alla Fiat.
Ma soprattutto, mi colpisce il fatto che la possibilità di essere spostato da una turnazione all'altra, come i 4 giorni di preavviso per lo straordinario, non lasciano al lavoratore di Mirafiori la possibilità di organizzarsi una vita privata con impegni stabili durante la settimana né nel weekend, e questo ha a mio giudizio un costo sociale molto alto (in termini di coesione delle famiglie, di partecipazione civile e politica, ecc.). Inoltre la diversa incidenza della riforma delle pause tra lavoratori addetti ai turni e lavoratori con orario fisso (il cosiddetto "turno centrale" dalle 8 alle 17) spiega anche i diversi risultati del referendum da reparto a reparto.
Alla fine anch'io avrei votato sì, scegliendo il male minore. Ma come lavoratore, come padre e come imprenditore non posso ritenermi soddisfatto di quest'andazzo, che ci prefigura l'allargamento di una frattura tra "i sommersi" (gli addetti alle lavorazioni con "trazione meccanizzata", costretti ai turni) i "salvati" (gli addetti a mansioni che permettono l'orario fisso), e i "privilegiati" (i manager con stipendi e bonus di decine o centinaia di volte superiori alla paga dell'operaio), che peggiora il clima sui luoghi di lavoro, e soprattutto che per recuperare competitività punta a spremere il lavoratore trattandolo come una macchina piuttosto che a motivarlo, a dargli importanza, a chiedere il suo massimo impegno come persona, non come ingranaggio.
Eppure ricordo che anni fa diverse industrie metal meccaniche introdussero un sistema produttivo diverso, dove il lavoratore non era costretto a fare centinaia di azioni ripetitive, ma poteva seguire un prodotto dall'inizio alla fine. Era il sistema "a isole" di Volvo, oppure quello applicato da Ducati, che andai a visitare, e che in sostanza faceva in modo che un operaio potesse seguire una moto dall'inizio alla fine, in modo da "sentire suo" il prodotto e da trascorrere le ore in modo meno alienante e più gratificante. Se non ricordo male, questa diversa organizzazione ridusse di molto i difetti di produzione, premiando la qualità. E Toyota, con il suo "Miglioramento Continuo" (Kaizen), raccoglie costantemente osservazioni e suggerimenti di tutti i lavoratori. E come ha fatto Volkswagen a chiudere il 2010 con un guadagno straordinario, pur pagando gli operai molto di più? Forse perché fa macchine belle e affidabili, che i clienti sono disposti a pagare in po' di più?
Non so, e quindi mi fermo. I limiti della mia esperienza e competenza, di piccolo imprenditore, e insieme di consulente di piccole imprese, non mi permette di esprimere un giudizio definitivo.
Posso solo dire dentro i limiti di questa esperienza e competenza noi cerchiamo di fare esattamente l'opposto di Mirafiori. E che nei momenti di confronto tra imprenditori, manager e studiosi del lavoro, come nei percorsi di formazione frequentati in questi anni (tra cui spicca l'iniziativa Ratio Operandi, attiva da 5 anni presso lo Studio Filosofico Domenicano) ho sempre trovato indicazioni molto diverse da quelle che mi è parso di trarre dalla lettura dell'accordo Mirafiori.
Avremo senz'altro occasione di riparlarne.
Per adesso, buona notte e buona festa dell'Unità d'Italia.
Andrea De Pasquale
www.andreadepasquale.it