Bologna, 8 agosto 2012
Cari amici,
ho lasciato passare oltre due mesi dal mio ultimo dispaccio (primi di giugno), non per assenza di argomenti (anzi...) né, come paventato da alcuni, per pressioni che mi inducano a tacere, ma solo e semplicemente per un problema di tempo, largamente assorbito dal lavoro, che oggi per me, da piccolo imprenditore, costituisce la prima responsabilità sociale e la principale trincea contro la crisi (e nel contesto economico e fiscale riuscire a resistere con zero ore di cassa integrazione, zero licenziamenti e una ventina di stipendi pagati puntualmente ogni mese, è un risultato di cui si può anche essere fieri).
La cronaca politica locare ribolle di fatti e di processi che andrebbero connessi e interpretati, ma si fa quello che si può: cerco ora di dare qualche flash sui temi a mio giudizio più rilevanti degli ultimi 2 mesi, e da settembre confido di poter riprendere un ritmo più regolare.
Ribadisco come sempre che trovate le note precedenti sul mio sito, che per non ricevere questi messaggi è sufficiente chiedermi la cancellazione da questa lista, mentre se avete amici interessati potete segnalatemi la loro e-mail.
Cinque gli argomenti di questa volta:
1) Passante autostradale di Bologna: scommettiamo?
2) Ronchi e piazza Verdi. Il rock, il dispetto e il rispetto.
3) Piano Strategico Metropolitano: sui grandi temi, non pervenuto.
4) T-Days: se anche i "pedonalizzatori storici" scuotono la testa...
5) Repubblica Bologna: bevi bene, vivi meglio.
Vediamoli in dettaglio.
1) Passante autostradale di Bologna: scommettiamo?
Lo scorso 30 luglio è stato emesso un comunicato congiunto di Regione, Provincia, Comune e Autostrade per l'Italia nel quale si annuncia un accordo per la realizzazione del Passante Autostradale di Bologna (o Passante Nord), sulla cui storia potete vedere un mio articolo su Il Mosaico e le mie newsletter di marzo e maggio.
Il comunicato racconta i termini essenziali di questo nuovo accordo, il cui testo però non viene diffuso (e fino ad oggi non mi risulta sia stato reso pubblico). Alla stampa quindi (e a noi cittadini) non viene dato il documento originale, ma solo la sua spiegazione, la "narrazione" direbbe qualcuno. Cosa ci sarà di così difficile da capire, o di così imbarazzante, in quel testo, da non dover essere divulgato?
Dal comunicato però, al netto delle litanie su strategicità dell'opera, irripetibilità dell'occasione ecc..., si capiscono alcune cose.
La notizia principale, come hanno colto i giornali, è l'ultimatum (deciso da Autostrade ed evidentemente sottoscritto dalle istituzioni, pare anche con un certo entusiasmo, dal tono del comunicato): il 30 novembre perderemo il finanziamento di 1.300 milioni di Euro (un miliardo virgola 3) se non avremo trovato, a livello locale, un tracciato condiviso.
La seconda notizia è che i comuni interessati al passaggio della nuova bretella autostradale, pure citati nel comunicato, non firmano quel documento né faranno parte del Comitato Tecnico che valuterà il tracciato "condiviso".
La terza notizia è che non si dice nulla sull'unico tracciato ufficiale in campo (che fosse l'unico è stato ribadito dal vicepresidente della provincia Giacomo Venturi in replica alla mia newsletter di marzo), quello inserito nel Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale del 2004, e che tutti i comuni hanno tenuto fermo nella redazione dei loro piani urbanistici: una dimenticanza davvero strana.
Ora, vediamo di inserire queste "notizie" nel giusto contesto, per trarne una possibile interpretazione (in proposito vedi anche la nota del neoconsigliere regionale Giuseppe Paruolo).
In primo luogo i tempi: la notizia di questo accordo è del 30 luglio (data che casualmente coincide con la chiusura delle attività consiliari in Comune e in Provincia), agosto è mese di ferie, quindi al 30 novembre mancano solo 90 giorni utili.
Questa finestra temporale molto stretta non consente certamente di ridiscutere un tracciato coinvolgendo tutti i livelli territoriali ed affrontando i molteplici aspetti (trasportistici, viabilistici, urbanistici, ambientali...) che la progettazione di un'opera di tale impatto richiede. Consente invece a Società Autostrade (che non è più interessata a realizzare il tracciato originale del PTCP) di ufficializzare il tracciato corto, alternativo a quello inserito nella Pianificazione provinciale, che è pronto da tempo ma che finora le istituzioni hanno finto di ignorare. (In proposito, la famosa lettera dell'Unione Europea del luglio 2010, venduta come documento che bocciava il tracciato lungo ma mai divulgata in originale, nonostante la mia insistenza è rimasta nei cassetti di Regione e Provincia. Sarà anche questo un caso?)
Davanti a questo quadro, il verbo "condividere" utilizzato dal comunicato a proposito di un nuovo tracciato (quello vecchio richiese circa 3 anni di lavori di studio, confronto, concertazione...) suona sarcastico. Il messaggio è il solito, ricorrente in tema di grandi opere (Civis, People Mover, ecc.): prendere o lasciare, accettare il pacco confezionato da Autostrade (il tracciato corto) oppure perdere i soldi.
L'atteggiamento più coerente da parte delle istituzioni locali (governate tutte dalla stessa maggioranza, che fa perno sul PD) sarebbe evidentemente quello di dichiarare, all'unisono: un tracciato condiviso esiste già, è quello del PTCP. Ma nel comunicato tale affermazione manca, e quel tracciato è appunto dimenticato.
Questa smemoratezza conferma quel mix di opportunismo politico e indifferenza ai contenuti ricorrente nella nostra classe dirigente a proposito di urbanistica e pianificazione territoriale. Che senso ha sudare 3 o 4 anni per redigere un Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale, che aveva nel tracciato del Passante il vincolo più rilevante e il tratto più caratterizzate; definire di conseguenza le aree di sviluppo e quelle di tutela per i vari Piani Strutturali Comunali (anzi, Associati); raccontare nei programmi elettorali di tutti i comuni che qui (a nord) sarebbe passata l'autostrada e là (a sud) avremmo fatto residenze, scuole, servizi; amministrare gli stessi comuni indirizzando in questo senso le attività private e imprenditoriali, ovvero dando permessi ad alcuni e negandoli ad altri... tutto questo per poi ribaltare il tavolo con un comunicato stampa (un comunicato stampa!), e riconoscere che, per 10 anni, "avevamo scherzato".
Ma il rischio principale oggi non è quello - pure grave - di realizzare un'opera impattante e improvvisata, utile ad Autostrade ma non al territorio bolognese, approvata in fretta e furia sotto minaccia di perdere i finanziamenti. Il rischio vero che vedo materializzarsi è che anche in questo caso non si faccia proprio nulla.
In questo senso il comunicato è un capolavoro di ambiguità e di scaricabarile, dal quale un occhio politico smaliziato, che conosca un poco i soggetti firmatari, può facilmente leggere il senso. Che è così riassumibile. Anas e Autostrade in prima fila, ma subito dietro anche Regione, Provincia e Comune, stanno già pensando a come utilizzare diversamente i finanziamenti del Passante, lasciando ai Comuni l'onere (e quindi la responsabilità politica) di opporsi al tracciato corto. Il Passante non si farà, ma non sarà colpa di nessuno. Il comunicato del 30 luglio sembra avvicinare l'obiettivo del Passante ma di fatto lo seppellisce. I firmatari - non so quanto bravi amministratori, certamente ottimi attori - recitano una parte concordata.
Scommettiamo che andrà a finire così? Che più o meno intorno a ferragosto uscirà ufficialmente una proposta di tracciato accorciato da Autostrade? Che tra assessori che fingeranno di vedere per la prima volta il tracciato breve, lettere fantasma dalla UE, sindaci che hanno già non solo approvato, ma anche avviato l'esecuzione di PSC associati che prevedono l'autostrada a nord con tutto il resto (residenze, scuole, servizi sociali) a sud (ovvero sul tracciato del Passante corto), non si farà esattamente nulla? E che il miliardo e 300 milioni verrà destinato ad altro (c'è già la fila...) Spero naturalmente di sbagliarmi. Ma riparliamone il 30 di novembre.
2) Ronchi e piazza Verdi. Il rock, il dispetto e il rispetto.
La scorsa settimana il TAR ha accolto il ricorso di alcuni comitati di residenti contro la programmazione di concerti rock in centro storico, in quanto tale programmazione non rispettava i limiti di rumorosità (decibel) e frequenza fissati dalla specifica normativa della Regione.
Il variegato e variopinto mondo che vive, direttamente o indirettamente, grazie alla "politica culturale" del comune (gestori di pub, organizzatori di eventi, artisti, musicanti, ecc.) si sono inalberati tuonando contro i comitati e arrivando, nel caso di qualche oste particolarmente vicino a piazza Verdi, anche a insinuare patologie psichiche a carico dei residenti.
Ma è stato l'assessore Alberto Ronchi a salire di nuovo sul palcoscenico e a stupire tutti per linguaggio usato e decisioni prese. Dopo aver cancellato (per un "muoia Sanson con tutti i Filistei"? Per semplice ripicca?) tutti i concerti, anche quelli di musica classica, che non avevano alcuna incompatibilità con le soglie fissate dalla Regione, in una conferenza stampa improvvisata ha dichiarato che Bologna è vittima di una caccia alle streghe, che il ricorso al TAR è un atto politico e che "è in atto il tentativo di una minoranza di condizionare l'attività dell'amministrazione comunale".
La minoranza a cui allude Ronchi è formata dalle stesse persone alle quali lo stesso assessore si era rivolto, a maggio, con le parole "la città deve liberarsi di questi tromboni che appestano la città" (ripetizione nell'orginale). Cittadini che hanno la colpa di vivere intorno a Piazza Verdi e via Petroni e di essere esasperati per il rumore notturno fuori controllo che impedisce il sonno (oltre alla violenza fisica di non poter dormire, ci sono problemi professionali: medici che il giorno dopo hanno paura ad operare, autisti che hanno paura a guidare, ecc.) Pochi giorni dopo la "fatwa" di Ronchi un gruppo di ubriachi, padroni della notte in zona universitaria, sfondano un portone devastando le scale di un palazzo e terrorizzando gli anziani residenti, nel disinteresse delle forze dell'ordine (forse in quel momento l'assessore ascoltava, nella quiete della sua casa, il suo rock preferito).
In realtà la contrapposizione tra concerti e silenzio, tra vita notturna e rispetto dei residenti non si porrebbe se si governasse il "dopo concerto", e si fosse in grado di tutelare la quiete pubblica in città.
Il problema è che non si governa (o non si vuole governare) il caos notturno, lo stato di illegalità che accompagna ogni notte in zona universitaria (e non più solo di notte: è del 25 luglio la notizia che i dipendenti universitari che si sentono sotto minaccia al mattino andando in ufficio, dovendo scavalcare bivacchi ed aggirare cani sotto i portici).
Un comune che tiene in pugno l'ordine pubblico può benissimo organizzare concerti fino alle 23.30, potendo garantire che alle 24.00 sia sceso il silenzio. Un comune che rinuncia (da anni) a questo (un ex assessore ha dichiarato nei giorni scorsi: "dopo un concerto non si può cacciare la folla con gli idranti) è meglio che ci pensi due volte.
Perché altrimenti fare concerti rock in piazza Verdi è come, per capirci, un festival del noir ad Avetrana, o un corso di sicurezza navale condotto da Schettino. Uno schiaffo. Sale su una ferita.
Come ha sommessamente fatto notare Otello Ciavatti, bastava semplicemente che l'assessore leggesse la normativa regionale e modulasse di conseguenza il programma musicale. Ma per fare questo occorre umiltà e attenzione, doti di cui Ronchi non appare fornitissimo. Tant'è che la butta in politica, facendo la vittima ed ergendosi a campione della Cultura contro l'Oscurantismo.
La realtà è un'altra, e l'ha ben descritta Carlo Loiodice, definendo l'atteggiamento di Ronchi in questa vicenda "di disprezzo per la legalità, per le leggi e per le istituzioni che ci tengono in vita". E così proseguendo: "Se, poniamo, un semaforo ha tre colori associati a tre indicazioni tassative, non è che una giunta comunale può introdurre temporaneamente un quarto colore per far passare l'auto del sindaco o degli assessori... Le cose non sono andate come Ronchi continua a proclamare. Qui non c'è una minoranza che ostacola le delibere del comune. Qui c'è una situazione nella quale, se un solo cittadino avesse adito le vie legali pretendendo il rispetto della legge, e se a questo cittadino la giustizia avesse dato ragione, ci sarebbe poco da obiettare... L'alternativa non è tra la vita e il mortorio. Non è che chi fa casino è vivo, mentre chi resta in casa è morto. Magari chi fa casino sta solo cercando di esorcizzare la morte, mentre chi rimane in casa sta scrutando le profondità della vita attraverso la lettura di un libro". Sottoscrivo pienamente.
Qui non è questione di maggioranze o minoranze. Di proposta culturale o di gusti musicali. E' banalmente (e drammaticamente) questione di prevaricazione e prepotenza ai danni di cittadini, lungamente tollerata e colpevolmente trascurata dalle istituzioni. Per questo quei cittadini si sentono abbandonati, da anni, in balia dei balordi che spadroneggiano nelle strade e sotto i portici, senza nessuno intervenga in difesa loro e delle regole civili.
Impedire il sonno (o l'accesso alla propria casa, o al proprio ufficio) è una violenza fisica. E davanti ad una violenza non è questione di quantità: fosse anche una sola la vittima, occorre prendere posizione in sua difesa.
Ronchi non è cattivo. Forse gli manca la percezione del problema. Se avesse occasione di sperimentare a casa propria i problemi dei cittadini che hanno fatto il ricorso al TAR, ne avrebbe maggior rispetto. E riuscirebbe a separare il piano dell'offerta culturale di una città da quello dell'ordine pubblico e della tutela di diritti elementari (alla salute, al sonno, alla sicurezza).
3) Piano Strategico Metropolitano: sui grandi temi, non pervenuto.
Nei mesi scorsi si è avviato il percorso per il Piano Strategico Metropolitano. In proposito, riporto l'articolo redazionale che abbiamo scritto insieme agli amici de Il Mosaico nel numero uscito in questi giorni.
Il Piano Strategico Metropolitano è partito a Bologna con ottime intenzioni (risveglio di partecipazione, mobilitazione di energie sociali, progettualità diffusa) e ambiziose prospettive (ripensare il futuro di Bologna e rilanciare il suo protagonismo su scala regionale e nazionale). Questo almeno nelle dichiarazioni dei promotori, e nei documenti di partenza, che sanciscono principi ideali altamente condivisibili.
Non può allora lasciare indifferente chi a questo percorso ha creduto (iscrivendosi a diversi Tavoli) apprendere dai giornali notizie di scelte strategiche che lo scavalcano allegramente, come ad esempio la decisione della Provincia di autorizzare l'urbanizzazione di 200.000 mq (non proprio un fazzoletto di terra) di attuale campagna in comune di Granarolo per il nuovo Centro Sportivo del Bologna FC (su terreni di proprietà di soci dello stesso Bologna che di mestiere fanno i costruttori), con evidente prospettiva di diventare polo commerciale ed alberghiero con tanto di nuovo Stadio. O la decisione del Comune di Bologna di espandere il Quartiere Fieristico di 20.000 mq verso nord (ancora su terreno agricolo). Difficile poi cogliere una coerenza tra queste decisioni e il principio, solennemente dichiarato nei documenti all'origine del PSM (oltre che nei programmi di governo delle amministrazioni locali) di ridurre a zero il consumo di suolo vergine.
Vi è poi un altro elemento critico: l'organizzazione dei tavoli in sottogruppi (che tende a spezzettare il dibattito) e l'impostazione a singoli "progetti" spingono a privilegiare un approccio al PSM per micro realizzazioni, trascurando ancora una volta la visione di insieme, la gerarchia delle priorità e le relazioni con gli altri territori.
Infine la volontà originaria (e originale) dei promotori di tenere indenne il dibattito sul PSM da qualsiasi riferimento a scelte "già deliberate" (People Mover, Civis, Servizio Ferroviario Metropolitano, solo per il tema infrastrutture) non aiuta. Difficile parlare seriamente del futuro negandosi il giudizio su passato prossimo e presente. Ci domandiamo infine in che modo sia previsto il coinvolgimento (fondamentale, a nostro giudizio) degli amministratori locali (assessori, consiglieri comunali, presidenti e consiglieri di quartiere) nel lavoro dei Tavoli.
Saranno tanto cortesi i nostri amministratori da rispondere a queste domande? Staremo a vedere...
4) T-Days: se anche i "pedonalizzatori storici" scuotono la testa...
Se anche figure come Ugo Mazza e Paolo Serra, su un giornale come l'Unità, avanzano pubblicamente dubbi sull'efficacia dei T-Days a favore di una mobilità più sostenibile, qualche dubbio dovrebbe fare breccia anche a Palazzo D'Accursio.
Il punto è il solito, quello del trasporto pubblico e dell'accessibilità al centro storico.
Come hanno scritto i due amici sopra citati (non sospettabili, a differenza di me, di intelligenze con i nemici della collettività, ovvero i commercianti), e come hanno sostenuto molti altri esperti tra cui Pietro Alemagna (già presidente INU), l'ultima cosa di cui ha bisogno una città che vuole ridurre l'uso dell'auto privata è quella di spezzare la continuità, spaziale e temporale, del trasporto pubblico.
Che è invece quanto fanno i T-Days, che cambiano le regole degli autobus per 2 giorni su 7, modificando percorsi e orari, e introducendo quindi, proprio per gli utenti del trasporto pubblico, una fatica e un disagio supplementare. Per questo non posso che concordare con il grido "No, la navetta no" con cui Ugo Mazza apre il suo articolo-appello alla giunta.
Speriamo dunque che l'estate porti alla giunta un buon consiglio, per politiche di mobilità meno puntute e simboliche e più larghe ed efficaci.
5) Repubblica Bologna: "Bevi bene, vivi meglio".
La mia presa di posizione sui T-Days ha ottenuto una reazione particolarmente diretta e "personalizzata" di Repubblica (i link all'archivio sono sbagliati: riporto allora qui in fondo una immagine dell'articolo e dell'editoriale apparsi sull'edizione di Bologna di domenica 3 giugno 2012).
Il caso è interessante sia dal punto di vista giornalistico che politico.
Dal punto di vista giornalistico, l'operazione è stata relativamente semplice. Il mio scritto, che alludeva ad un dato storico, di secoli precedente al nazismo, è stato manipolato, togliendo la frase "quasi un retaggio della propaganda" e aggiungendo "fascista". Così il testo (rivolto alla cultura della sinistra in generale, non particolarmente all'amministrazione Merola) "esiste poi un pregiudizio particolare contro i commercianti, quasi un retaggio della propaganda antisemita (l'ebreo affarista e avido, intento ad accumulare ricchezze a danno dei concittadini)" è diventato "De Pasquale accusa di antisemitismo fascista la giunta comunale (vedi l'articolo del 3 giugno).
Eppure un giornale militante come Repubblica non dovrebbe ignorare la lezione recentemente impartita da Pierluigi Bersani, segretario nazionale del PD, che a maggio, rispondendo a Beppe Grillo (che aveva con la consueta levità definito "quasi morti" gli uomini di partito), aveva dichiarato: "noi semplici uomini siamo tutti quasi morti. Viviamo su quel quasi". Affermazione insieme ironica e profonda, direi perfetta. Vedete, amici di Repubblica, quanto può essere importante un "quasi"? Almeno da Bersani, accetterà il quotidiano fondato da Scalfari una lezione di giornalismo?
Dal punto di vista politico, le osservazioni sono due ed ancora più illuminanti.
La prima è stata la conferma di come il pregiudizio "anti commercianti" sia vivo e lotti insieme a Repubblica. Ha scritto infatti Silvia Bignami (giornalista di Repubblica) nei giorni successivi al mio intervento:
"Pare infelice la protesta dei commercianti che abbassano la saracinesca contro i T-Days, privandosi volontariamente degli utili di una giornata. Procurarsi un danno volontariamente è un lusso che solo un commercio ricco (e un po' viziato) può permettersi".
E' una frase che rivela una visione del mondo. Se scioperi, è perché guadagni troppo... Peccato che se vale per i commercianti e gli imprenditori, allora vale per tutti: operai, insegnanti, tramvieri, ecc. Chi sciopera è un soggetto viziato che può permetterselo. L'avesse detto Marchionne...
La seconda è che Giovanni Egidio, caporedattore dell'edizione di Bologna, ha colto l'occasione della mia presa di posizione per dare consigli a Raffaele Donini, segretario provinciale del PD, sull'opportunità di allontanarmi dal PD. Scrive infatti il nostro: "Il fatto che Andrea De Pasquale sia iscritto al Partito Democratico e faccia perfino parte della direzione è francamente sconcertante. E da ieri anche inspiegabile".
Si conferma in questo modo la tendenza del quotidiano in questione ad essere parte politica attiva più che organo di informazione, e a misurare il proprio potere di condizionamento attraverso l'impatto, sulla classe dirigente della sinistra, delle proprie campagne (da quelle pro Ronchi e pro Colombo a quelle contro i comitati di residenti e le scuole paritarie, ecc.)
Personalmente, essere attaccato per affermazioni diverse da quelle che si sono fatte può essere un po' spiacevole. Ma nulla di più. E al tempo stesso, può svelare filiere e connessioni molto illuminanti. E in ogni caso, non serve a intimidirmi.
Con Repubblica avremo altre occasioni di polemica: ho in mente alcune battaglie, per l'autunno, che susciteranno, credo, lo zelo censorio (da custode dell'ortodossia del pensiero di sinistra) del nostro caro vecchio giornale partigiano. A conclusione della vicenda, il riassunto più centrato, dedicato a chi legge e si fida di questo giornale, mi pare contenuto nello slogan di una nota marca di acque minerali: "Bevi bene, vivi meglio".
Per ora vi saluto. Ci sentiamo a settembre. Buone ferie a tutti.
Andrea De Pasquale
www.andreadepasquale.it