Bologna, 21 aprile 2011
Cari amici,
eccomi alla nota periodica sugli avvenimenti politici di Bologna e dintorni del mese di marzo e aprile. Trovate le precedenti sul mio sito. Rammento che per non ricevere questi messaggi è sufficiente chiedermi la cancellazione da questa lista, mentre se avete amici interessati segnalatemi la loro e-mail.
5 gli argomenti di questa newsletter (+ un invito):
1) LAVORO: I PROBLEMI DELLE IMPRESE E UN CATTIVO ESEMPIO PUBBLICO.
2) AVANTI CON LA PRESCRIZIONE BREVE. OVVERO, PIOVE SUL BAGNATO.
3) URBANISTICA IN SALSA BOLOGNESE: LA DUCATI E IL PSC.
4) SESSO E POTERE: SE DESTRA E SINISTRA SI SCAMBIANO I RUOLI.
5) VENTO e CARRIERE. LE SCELTE DEL PD IN VISTA DELLE AMMINISTRATIVE.
INFINE L'INVITO: MERCOLEDI' 27 ORE 20.45 CONFRONTO TRA I CANDIDATI A SINDACO.
Buona lettura e buona Pasqua.
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1) LAVORO: I PROBLEMI DELLE IMPRESE E UN CATTIVO ESEMPIO PUBBLICO.
La festa del 17 marzo dedicata all'Unità d'Italia ha offerto l'occasione a Confindustria di lanciare un "segnale" al governo sull'insoddisfazione del mondo produttivo per il persistente disinteresse dell'esecutivo rispetto ai temi economici. L'iniziativa è partita proprio da Bologna, con la dichiarazione del presidente di Unindustria Bologna, Maurizio Marchesini, sul fatto che "l'onere della celebrazione del 17 marzo ricadrà completamente sulle imprese che, in questa fase ancora di crisi, si troveranno ad erogare la retribuzione per un giorno di mancata produzione". A breve giro lo segue Emma Marcegaglia, presidente nazionale. Nel mio piccolo ho scritto a Unindustria Bologna, alla quale sono associato, esprimendo la mia perplessità per questa linea, ma anche a valle di un colloquio telefonico con un dirigente locale siamo restati ognuno della propria opinione.
Ho avuto però l'impressione che non fosse stato messo in contro un rischio: che il grido di dolore degli industriali sarebbe andato a confondersi con l'ululato della Lega nord e di altri soggetti come il presidente della provincia autonoma di Bolzano, Durnwalder, che ha dichiarato di non avere ragioni per festeggiare l'Italia (nonostante che siamo proprio noi italiani, con le nostre tasse e col nostro turismo, a garantirgli una capacità di spesa pubblica che non ha eguali in tutto il paese). La sovrapposizione dei due messaggi è stata un po' imbarazzante.
La mia convinzione è che i problemi veri delle imprese siano altrove, a partire dall'eccessiva tassazione del lavoro, da un sistema fiscale che incentiva a tutto fuorché agli investimenti produttivi e alle assunzioni, e poi negli squilibri tra settori protetti e settori esposti alla concorrenza, nell'eccessivo peso della Pubblica Amministrazione (quindi della politica) nella gestione di larga parte dell'economia.
E a proposito di problemi veri, ecco un'interessante studio promosso dall'Associazione degli industriali di Bologna sul bizzarro rapporto tra tassazione e redditi aziendali. Su 957 bilanci analizzati (relativi all'esercizio 2009) di altrettante aziende bolognesi, il 55% paga oltre il 50% di tasse sull'utile. E la percentuale di aziende che paga le tasse anche avendo bilanci in perdita è passata dal 70% nel 2007 all'88% nel 2009.
Posso confermarlo per mia esperienza diretta di questi anni da imprenditore. Se difendi i posti di lavoro anche davanti al calo di fatturato, a costo di andare in perdita (e lo fai non solo per motivi etici, ma anche economici: non vuoi disperdere un patrimonio di conoscenze, di esperienze, di relazioni collaborative di cui è depositario un certo staff di persone, non sempre intercambiabili), ti arrivano comunque IRAP e IRES, e paghi sulla base degli addetti, quindi degli stipendi che paghi, non del guadagno che realizzi. Si penalizza quindi l'impresa che investe sul capitale umano, che tutela i propri dipendenti, che si mette nei panni delle loro famiglie. Si premia invece l'impresa che scarica sui lavoratori il rischio di impresa, che sfrutta abitualmente il precariato, che davanti alle prime nubi licenzia, per poi riassumere quando torna il sole, con buona pace delle continuità del reddito familiare.
Questo fatto, unito all'altro per cui, se voglio fare arrivare 1.300 euro nelle tasche di un mio dipendente, ne devo sborsare esattamente il doppio, ovvero 2.600 tra tasse e contributi, si capisce perché in Italia tutto converge contro chi si prende la briga di rischiare in proprio per mettere su un'attività, per creare lavoro.
A costui lo Stato italiano oggi dice: l'anno che ti va bene e sei in attivo, ti prendo la metà di quello che hai guadagnato (dopo averti preso la metà di quello che hai sborsato per pagare i dipendenti in regola, dopo le tasse locali, ecc.) Invece l'anno che ti va male e sei in passivo, ti chiedo ugualmente dei soldi in proporzione ai posti di lavoro regolari che hai mantenuto.
Se parole come "sinistra", "equità sociale", "lavoro", "diritti" hanno ancora senso, andrebbero usate per scardinare questo sistema, che penalizza chi difende i posti di lavoro, per proporre o forse imporre riforme in questa materia.
Nel frattempo, scoppia a Bologna la notizia (9 aprile) che 33 dipendenti su 40 del Dipartimento Comunicazioni dell'Ispettorato Territoriale del Ministero dello Sviluppo Economico uscivano durante l'orario di lavoro per shopping tra i negozi e fitness in palestra. Il fatto più scandaloso però si manifesta con l'intervista al Corriere di Bologna del direttore di quell'ufficio, dott. Marco Cevenini, che infila una serie di perle in tema di cultura dirigenziale pubblica, testualmente affermando cose come:
"Il nostro ufficio è grande 4.500 metri quadri, io ho la stanza sopra a tutti, non vedo nessuno, non ho sotto gli occhi quello che succede".
"Tutti i documenti sono in regola. Noi tutti i mesi abbiamo il controllo dei documenti sulla base delle timbrature del cartellino in ingresso e in uscita". (Ma non ha capito che l'indagine ha rilevato come gli addetti si assentassero proprio mentre i cartellini risultavano timbrati?)
"Due addetti erano stati denunciati da un collega per la loro scarsa attività lavorativa, ma erano due persone che in quel periodo avevano una situazione difficile a casa". (E quindi erano giustificati a non lavorare?)
Fino alla conclusione, suprema sintesi dell'italico vizio a schivare le responsabilità: "Se ci sarà rinvio a giudizio delle persone indagate, solo allora prenderò dei provvedimenti disciplinari".
Notate lo snaturamento del provvedimento disciplinare, non più esercizio di una responsabilità dirigenziale, ma conseguenza obbligata di un provvedimento esterno, in questo caso giudiziario. Possiamo immaginare la faccia con cui un dirigente di questa pasta comminerà l'eventuale sanzione "a valle" dell'iniziativa della magistratura: braccia allargate, sopracciglia alzate, come a dire"dipendesse da me, mi creda, non l'avrei mai fatto, ma come vede sono costretto...". Un nitido fotogramma del cancro che strangola il paese.
So che anche tra i dipendenti (e i dirigenti) pubblici c'è una maggioranza di persone oneste, talvolta anche eroiche. Ma un sistema che non riesce ad isolare e a condannare casi come quello descritto (e penso alle parole del dirigente più ancora che ai comportamenti dei suoi sottoposti) è condannato a marcire.
2) AVANTI CON LA PRESCRIZIONE BREVE. OVVERO, PIOVE SUL BAGNATO.
Ormai in proposito si è detto e scritto tutto. Nell'ansia di proteggere il Capo, la maggioranza sta operando a livello legislativo per rendere ancora più difficile il controllo di legalità e l'accertamento delle responsabilità, e per rendere ancora più facile a chi calpesta le regole farla franca. E questo in un paese, lo sappiamo, dove la furbizia è già molto premiata e l'onestà molto penalizzata.
Per tenere presente "il contesto" nel quale si collocano le cosiddette "riforme" della giustizia targate Pdl, cito tre notizie recenti ed emblematiche:
A) "Nel 2010 la corruzione è aumentata del 30,22 per cento": è l'allarme lanciato dal Procuratore Generale della Corte dei Conti, Mario Ristuccia, il 21 febbraio, giorno dell'inaugurazione dell'anno giudiziario 2011 (fonte: Sole 24 Ore, 22 febbraio).
B) "Radiografia dell'evasione: siamo al 38%" Questo il dato reale derivato dalla nuova Banca Dati Dbgeo, messa a punto dall'Agenzia delle Entrate (che ha divulgato questo dato il 3 aprile 2011).
C) "L'ultima beffa del caso Parmalat - la prescrizione blocca i risarcimenti". A rischio 80 mila risparmiatori truffati da un management che è riuscito a far sparire 14 miliardi di Euro. Fonte: Corriere della Sera, 8 aprile.
Su un paese che già funziona così, che già evidenzia un progressivo sgretolamento del patto di cittadinanza, della lealtà fiscale, dell'etica pubblica, cade la scelta di questo governo e di questa maggioranza, di spingere sull'acceleratore in discesa, ovvero di ridurre ulteriormente le possibilità di azione della giustizia, e di aumentare le possibilità, per chi viola la legge, di cavarsela senza danni.
E lo fa, voglio farvi notare, nel modo più costoso e più frustrante per gli operatori della giustizia (non solo magistrati, ma anche poliziotti, carabinieri, guardia di Finanza). Ovvero non "depenalizzando" all'origine alcune condotte, ma abbreviando i tempi di prescrizione e contemporaneamente lasciando carenti e inadeguate le risorse della macchina giudiziaria. Che quindi per alcuni anni sarà impegnata a fare indagini e raccogliere prove, salvo buttare tutto in discarica allo scoccare della prescrizione abbreviata. La quale sarà accolta come liberazione per gli accusati, ma insieme anche come condanna all'ingiustizia per i danneggiati.
3) URBANISTICA IN SALSA BOLOGNESE: LA DUCATI E IL PSC.
Marzo è stato anche il mese del nuovo protocollo d'intesa (il precedente era del 2009) sottoscritto da Regione, Provincia e Comune da un lato, e da Ducati e Consorzio Cooperative Costruttori dall'altro, sulla realizzazione del nuovo stabilimento Ducati.
In proposito ritengo utile distinguere tre livelli: la notizia secondo i giornali, lo scambio economico reale, il messaggio politico che ne esce.
3.1 - Partiamo dal primo. La notizia che appare sui giornali i primi di marzo ha toni quasi trionfali, complice la coincidenza (casuale?) con la festa in Piazza Maggiore alla presenza di Valentino Rossi del 4 marzo. La Ducati costruirà un nuovo stabilimento a Borgo Panigale, vicino al precedente, ma più grande (circa 135 mila metri quadrati). In questo modo "rinsalda i suoi legami con il territorio, difende i posti di lavoro e investe a Bologna". Politica e istituzioni si mettono in fila per celebrare le lodi di questa operazione. Solo dall'ANCE (Costruttori) si leva qualche perplessità: "Non può essere che alcune aree abbiano corsie preferenziali e le altre siano tenute ferme", fanno notare.
3.2 - Vediamo ora il fatto nella sua nudità economica. L'ennesima azienda bolognese fa la scelta di incassare il valore immobiliare del proprio stabilimento trasformandolo in zona residenziale. E' già successo decine di volte. E si capisce: nel contesto dato (vedi punto 1), anche un'azienda grande e prestigiosa fa comunque fatica a generare profitti mediante l'attività industriale. Molto più facile fare profitto con la rendita urbana, ovvero ottenendo dal Comune un cambio d'uso dell'area su cui è insediata, trasformandola da industriale a residenziale e spostando altrove gli impianti.
L'operazione in realtà ha una genesi più antica, esterna rispetto alla "fabbrica Ducati": l'iniziativa originaria infatti è di quel Consorzio Cooperative Costruzioni proprietario del terreno agricolo da 165.000 mq dove sorgerà il nuovo stabilimento motociclistico, che ha proposto lo scambio: sul mio terreno facciamo il nuovo stabilimento, e sul tuo terreno (Ducati), laddove oggi è lo stabilimento, facciamo case, spazi commerciali e quant'altro. Non è inutile rammentare che il Consorzio in questione è lo stesso che sta realizzando i lavori del Civis e che è candidato a realizzare quelli del People Mover.
Spesso lo spostamento di una fabbrica diventa una delocalizzazione, ovvero chiusura dell'attività a Bologna e apertura di fabbriche in Romania o Cina dove il lavoro costa meno. Nel caso di Ducati questo avverrebbe solo in parte, dato che Ducati sta costruendo stabilimenti in Thailandia, ma manterrebbe anche una sede a Borgo Panigale.
Lo spostamento di Ducati però non avviene verso una delle 14 zone di espansione industriale (o 32 di riqualificazione) individuate dal Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale del 2004, né nelle aree individuate nel Piano Strutturale Comunale del 2008, bensì in un campo agricolo vicino alla tangenziale di Borgo Panigale. E senza passare attraverso una variante al PSC: la bacchetta magica è rappresentata dal famoso articolo 40 della legge regionale 20 del 2000, che in presenza di opere di "rilevante interesse pubblico" prevede la scorciatoia dell'Accordo di Programma, per cui l'accordo tra le parti costituisce automaticamente variante rispetto al PSC. In due direzioni: come occupazione di suolo agricolo, e come dimensionamento dell'intervento sull'ex Ducati, dove - se ho capito bene - verrà costruita una quantità di alloggi e spazi commerciali superiore al tetto previsto dal PSC sul complesso di tutte le aree di riqualificazione in città (vedi gli articoli "Il Valentino Day spiana la strada al nuovo stabilimento Ducati" sul Corriere di Bologna del 3 marzo, e "I Costruttori sulla nuova Ducati: città a doppia velocità", su Repubblica Bologna dell'8 marzo 2011).
A chi obietta che in questo modo si fa carta straccia del nuovo PSC appena approvato, le autorità urbanistiche locali rispondono sostanzialmente dicendo: Ducati è un gioiello di Bologna e quindi in questo caso l'interesse pubblico giustifica l'eccezione alle regole del PTCP e del PSC.
3.3 - Riflettiamo ora sul messaggio politico che esce da questa vicenda. Che più o meno suona così.
Le regole urbanistiche sono in sé un insieme di lacci e lacciuoli che ostacolano lo sviluppo dell'economia (come dice la destra bolognese da almeno un decennio). Infatti, davanti al caso Ducati, gli stessi che quelle regole hanno scritto (amministratori e politici di sinistra) non hanno esitato ad accantonarle davanti alla richiesta di due aziende (una produttiva e una edile). E non hanno avuto dubbi: l'interesse pubblico coincide con quello delle due aziende, non con il rispetto di PTCP e PSC. Che quindi, come tali, non tutelano un interesse pubblico, dato che giustappunto l'interesse pubblico ha richiesto che si facesse "eccezione" alla normativa urbanistica.
Domanda: quale interesse pubblico si realizza con questa operazione? Non l'aumento di occupazione, perché il numero di addetti del nuovo stabilimento resterà, se va bene, lo stesso del vecchio (l'espansione Ducati la fa in Thailandia e in Brasile). Non l'acquisizione da parte del Comune di aree. Nel protocollo di intesa si parla genericamente di "dotazioni pubbliche": ignoro se si tratti di panchine, lampioni, giardinetto. Eppure la buona urbanistica prevede che accanto all'interesse del privato (Ducati e CCC) le istituzioni debbano portare a casa anche qualcosa per il cittadino. Dov'è questo "qualcosa"? Non si è capito.
Mi resta un ultimo dubbio, come cittadino e come imprenditore. Se la mia azienda, che ha circa 20 addetti, si mettesse insieme ad una trentina di altre aziende simili, con sedi in posizioni fortunate, e insieme chiedessimo di poter convertire in palazzine residenziali le sedi che occupiamo, e in cambio del nostro sforzo di "salvaguardare" la forza lavoro (insieme facciamo anche noi 600 lavoratori) chiediamo di poterci costruire una sede nuova in un campo di patate accanto all'autostrada (così ci facciamo anche una bella pubblicità), secondo voi ci diranno "va bene"?
4) SESSO E POTERE: SE DESTRA E SINISTRA SI SCAMBIANO I RUOLI.
Intorno alla vicenda Ruby (la cui cronaca ho riassunto il 2 marzo scorso) è sorto un vasto dibattito sul rapporto tra sesso, potere e libertà della donna. Un confronto particolarmente interessante perché a parti invertite rispetto al solito. Eravamo infatti abituati, di fronte a casi di cronaca o a campagne pubblicitarie a forte densità di allusioni sessuali o di erotismo esplicito, a sentire voci preoccupate o indignate da un centrodestra culturalmente parassita, in tema di morale sessuale, della tradizione cattolica. E al contrario voci minimizzanti e permissive dall'area della sinistra, interprete di una laicità sostanzialmente libertaria in questo campo.
Ecco invece un altro miracolo compiuto dal nostro premier: il rovesciamento radicale di queste posizioni.
Oltre a qualche vescovo e intellettuale di area CL, tra i convertiti "neo-libertini" di destra abbiamo campioni come Giuliano Ferrara (che organizza una manifestazione "in mutande" per denunciare al mondo i rischi a cui la libertà sessuale va incontro nel nostro paese) e Piero Ostellino, firma del Corriere che ci dimostra come sulla vicenda Ruby siano i magistrati e la sinistra a violare il corpo delle donne, come ci spiega in un articolo di gennaio scorso: "Una donna che sia consapevole di essere seduta sulla propria fortuna e ne faccia - diciamo così - partecipe chi può concretarla non è automaticamente una prostituta. Il mondo è pieno di ragazze che si concedono al professore per goderne l'indulgenza all'esame o al capo ufficio per fare carriera. Avere trasformato in prostitute - dopo averne intercettato le telefonate e fatto perquisire le abitazioni - le ragazze che frequentavano casa Berlusconi, non è stata (solo) un'operazione giudiziaria, bensì (anche) una violazione della dignità di donne la cui sola colpa era quella di aver fatto, eventualmente, uso del proprio corpo".
Ma nel frattempo una conversione analoga e contraria interessa lo schieramento politico e intellettuale della sinistra, con in testa Espresso e Repubblica, i cui editorialisti passano in poche settimane dalla militanza in favore del sesso libero (e in dispetto della morale cattolica) a posizioni molto più pensose e preoccupate, scoprendo improvvisamente temi come la libertà, la consapevolezza e l'autostima delle ragazze che, per dirla con Ostellino, "fanno uso del proprio corpo".
Se pensate che io esageri, andatevi a rileggere un qualsiasi numero di Repubblica "ante Ruby". Ad esempio l'edizione del 5 marzo 2010, nella quale Corrado Augias risponde al padre di una adolescente, preoccupato di come la figlia 14enne sia oggetto di inviti a serate trasgressive che spacciano per divertimento l'assuefazione al consumismo sessuale e alla banalizzazione del corpo femminile.
Davanti alla platea progressista dei lettori di Repubblica, Augias rassicura questo padre: "Forse spaventiamo troppo gli adolescenti scoraggiandoli dal provare cose nuove. Tutti dovrebbero essere un po' irresponsabili prima di arrivare ai vent'anni. Condivido le preoccupazioni di un genitore ma credo che un adolescente mentalmente integro, ben allevato, con buoni studi, possa affrontare una serata trasgressiva".
Personaggi come Berlusconi o Fede o Mora sono d'accordo con l'Augias di un anno fa, nell'invitare le ragazze a non prendere troppo sul serio la propria sessualità e a concedersi ai desideri, piccanti o malati, di uomini magari anziani ma certamente in grado di ripagare lautamente quel "coraggio di provare cose nuove" caldeggiato dall'Augias "Ante Ruby".
Tocchiamo qui con mano uno strabismo ricorrente nel pensiero di sinistra, che si scandalizza per le Ruby (o le Noemi) che si offrono ai desideri lubrichi del ricco anziano, in cambio di denaro e spinte per entrare nel mondo delle veline, ma d'altra parte snobbano il tema educativo in campo sessuale, fedeli a un dogmatismo libertino preoccupato di contraddire sempre e comunque la morale cattolica a prezzo di ingrossare le file di aspiranti escort. Finché il pensiero laico non riuscirà ad elaborare una proposta educativa in materia, ovvio che il monopolio del discorso resterà in mano alla Chiesa. Con i suoi limiti e i suoi strabismi opposti.
Quando troveremo il coraggio di riconoscere, da parte laica, che consapevolezza e autocontrollo in campo sessuale accrescono, e non diminuiscono, libertà e appagamento affettivo? E specularmente, da parte cattolica, che la sessualità non è qualcosa da guardarsi con imbarazzo e sospetto, e che i tempi di vita attuali, che spostano la formazione di famiglie oltre i 30 anni, richiedono nuove capacità di proposta educativa rispetto alla semplice astinenza prematrimoniale?
E' utopistico pensare, in queste materie, ad una sintesi tra diverse radici culturali che offra ai nostri ragazzi una "piattaforma educativa" di valori laici, umani, positivi, in grado di aiutarli a realizzare pienamente sé stessi, anche nella dimensione sessuale e relazionale? Personalmente credo che questa sintesi sia possibile. Anzi, doverosa. L'occasione offertaci dal caso Ruby è ghiotta in questo senso, per provare a costruire, nel centrosinistra, un nucleo di valori autenticamente condivisi tra le sue varie culture di provenienza. C'è la volontà di cogliere questa occasione?
Nel frattempo credo che occorra salvaguardare la nostra capacità di indignarsi. Insistere come fanno Ferrara e Ostellino a dire che "così fan tutte e tutti", ovvero che siamo tutti insieme un po' puttanieri e un po' puttane, finisce per essere un po' offensivo della realtà dei fatti e della vita di molte persone, che invece vivono in altro modo, scelgono quotidianamente di essere altro. Rivendicare una differenza non è moralismo.
5) VENTO e CARRIERE. LE SCELTE DEL PD IN VISTA DELLE AMMINISTRATIVE.
All'inizio di marzo escono due notizie piccole piccole, apparentemente di ordinaria amministrazione politica. Che però mi lasciano basito. In Consiglio Provinciale (dove io non siedo più da 2 anni: lo ricordo a quanti continuano a credermi eletto in Provincia), dato che Virginio Merola, candidato a sindaco, si è dimesso da Presidente del Consiglio Provinciale, al suo posto viene eletto Stefano Caliandro, che a sua volta cede la carica di Capogruppo del PD a Nara Rebecchi.
Chi sono costoro? Lui è un "giovane" pugliese la cui famiglia è legata a doppio filo a D'Alema. Il cui appoggio è in effetti rintracciabile nella carriera fulminea del ragazzo: che non fa nessun mestiere vero, ma viene candidato in provincia in un collegio sicuro, diventa subito capogruppo, e ora presidente del Consiglio. Peccato che il suo volantino elettorale elencasse 7 punti di suo impegno da consigliere provinciale, dei quali 4 erano totalmente estranei alla competenza della provincia (sviluppo dei centri anziani, cura dei giardini pubblici, e altre amenità).
Lei è l'ex sindaco di Medicina, grande entusiasta di Romilia (il faraonico progetto di Cazzola poi bocciato dalle amministrazioni PD), verso la quale evidentemente continua il complesso di colpa del partito, e quindi l'opera di risarcimento. Anche per lei collegio sicuro, e ora capogruppo. Peccato che Medicina sia nel Circondario Imolese, e che quindi oggi si realizzi in Provincia il paradosso che la rappresentanza unitaria del partito maggioritario su un territorio metropolitano di 1 milione di abitanti sia affidata ad una minoranza (circa 80 mila abitanti), quella imolese, da sempre fortemente campanilista e fieramente contraria alla Città Metropolitana.
D'altronde, sempre per coerenza, il proprietario del terreno dove avrebbe dovuto sorgere Romilia è ora sindaco di Medicina, con la benedizione del PD. Il quadro risarcitorio è vasto e articolato. Il vento è questo.
Resta il fatto che un partito che promuove a ruoli di alta rappresentanza istituzionale persone siffatte è un partito che non sta bene, che ha una qualche malattia. Bisogna avere il coraggio di cercarla e di darle un nome.
Marzo è stato anche il mese in cui sono state composte le liste dei candidati al Consiglio Comunale. Quella del PD meriterebbe un attento esame sociologico da un lato, e di mappa del potere interno dal partito dall'altro.Ci provo velocemente.
Dietro a Cevenini (eletto in regione meno di un anno fa e ora ricandidato al Comune) che la malattia ha reso ancora più simile ad una icona sacra, una sorta di madonna pellegrina che viene esposta ormai in tutte le occasioni elettorali, si ritrova una solida truppa di fedeli (politici di professione o dipendenti pubblici). Sono poi state inserite figure atipiche, come il cattolico delle ACLI, l'imprenditore privato, il giovane ricercatore, l'operaia. Presenze quasi da collezione. Peccato che l'occhio un minimo smaliziato capisca al volo che si tratta di figure volutamente isolate, senza radicamento in un pezzo di società e quindi senza riconoscimento, senza rappresentanza. Profili deboli, perfetti per un partito che vuole fare finta di aprirsi alla società civile, al mondo dell'impresa, agli ambienti cattolici, ma in realtà ha bisogno di figure controllabili, poco autonome, poco capaci di iniziativa politica. Quando poi ti accorgi che anche il giovane universitario è entrato in lista in quanto delfino di un potente parlamentare, allora capisci che lo sbandierato rinnovamento è stato ancora evitato.
Prendiamo ad esempio il nostro gruppo, quel "Nuovo PD per Bologna" che ha raccolto il 24,3% dei consensi nel congresso di giugno scorso. Bene, su 36 nomi in lista, abbiamo faticosamente ottenuto 2 posti. Dopo una lunga discussione interna, per questi abbiamo scelto Francesco Errani ed Alessandra Salfi, due persone fresche, capaci, giovani. Il succo però è che un gruppo che ha mostrato di avere la rappresentanza di circa il 25% del partito, ha avuto circa il 5,5 % dello spazio in lista.
In proposito devo fare cenno anche alla vicenda che mi ha toccato personalmente. In diversi mi hanno sollecitato a candidarmi al Consiglio Comunale, e tra questi anche persone di una certa autorità nel partito. Ho quindi dato la mia disponibilità, e a un certo momento sembrava che il mio nome dovesse entrare nella lista.
C'erano diversi "titoli" a mio favore: per chi è arrivato da poco in questa mailing list, ne cito alcuni. Chi invece mi conosce da tempo, può saltare.
Sono stato per 5 anni l'unico tra i consiglieri provinciali a rendicontare pubblicamente l'attività di Consiglio e di Commissione; ho organizzato diversi eventi come quello sul rilancio del Servizio Ferroviario Metropolitano, con oltre 200 partecipanti tra cui tutti i comitati di utenti, e una posizione finale unitaria condivisa da tutti i partiti. Non ho esitato a prendere posizione pubblica e netta in diverse circostanze: su Romilia (che era chiaramente inaccettabile, ma su cui per 6 mesi si è tergiversato); sul tentativo di sostituire dirigenti publici autorevoli e autonomi con marionette comandate dalla politica; su alcune operazioni urbanistiche di dubbio interesse collettivo.
Da presidente di commissione ho denunciato la pessima pratica del "firma e fuggi", ovvero l'abitudine a firmare la presenza per poi andarsene a spasso, incassando ugualmente gettoni e rimborsi lavorativi. E nelle materie di mia competenza (es. trasporti pubblici), ho portato i miei colleghi consiglieri (più o meno felici di seguirmi) a toccare con mano i problemi e i disagi dei comuni cittadini. Anche da consigliere ho sempre mantenuto il mio impegno professionale, per non perdere contatti con il mondo del lavoro vero. E dal 2009, non essendo più eletto, insieme a un gruppo di amici "Cittadini in Consiglio" ho frequentato e raccontato le sedute del Consiglio Comunale (fino al suo scioglimento). Infine, sono stato uno dei principali organizzatori del gruppo Un Nuovo PD per Bologna, che ha perso il congresso ma con un risultato superiore ad ogni scommessa.
Alla fine però sul mio nome c'è stato un rifiuto netto e deciso, che mi è stato confermato da diverse fonti. Forse per il mio profilo atipico rispetto alla "tradizione maggioritaria" del partito, forse perché cattolico non clericale ma nemmeno timido e complessato, forse perché imprenditore, forse perché semplicemente libero, non controllabile, e in più capace di tirarsi dietro altri.
A differenza dell'amico Mauro Bosi, che si è detto molto amareggiato ed avvilito della propria esclusione, io invece penso che nel mio caso a rimetterci sia stato il PD. Personalmente ci ho solo guadagnato in termini di tempo e di qualità di vita. Il partito invece ha dimostrato ancora una volta di temere figure autonome e radicate, quindi forti. E forse spera di sopravvivere alla propria debolezza emarginando queste figure e promuovendo il loro opposto, come si vede da gran parte della lista.
Il braccio di ferro sul mio ingresso in lista ha però aperto uno spazio per una figura femminile essa pure "atipica". Insieme ad alcuni amici, abbiamo allora chiesto a Raffaella Santi Casali di accettare la candidatura. Pur con qualche resistenza, lei ha accettato. Raffaella ha 50 anni, è madre di 3 figli, è stata consigliera di quartiere, ha lavorato come educatrice con minori in difficoltà, e ha poi lasciato il lavoro per dedicarsi alla famiglia. Attualmente è presidente del consiglio di istituto di un liceo cittadino. La conosco e la stimo da anni: è una persona libera, coraggiosa, concreta e per nulla ideologica. Per questo le sto dando una mano nella campagna elettorale e voterò per lei.
Non posso chiudere questo capitolo senza citare altre 2 persone, nella lista PD, che hanno tutta la mia stima e meritano certamente di ottenere consenso, perché saranno due ottimi consiglieri comunali: Paolo Natali (già consigliere nello scorso mandato: preparato, equilibrato, gentile; uno dei migliori tra gli uscenti) e Andrea Colombo (giovane ma già esperto consigliere del quartiere San Vitale, dove ha preso iniziative e si è assunto responsabilità ben oltre i suoi stretti doveri di ufficio).
Il mio augurio quindi è che tutti e 5, Raffaella, Francesco, Alessandra, Paolo e Andrea, vengano eletti e possano sedere in quel Consiglio Comunale al quale anch'io, in qualche modo, da cittadino, presterò massima attenzione.
INFINE L'INVITO: MERCOLEDI' 27 APRILE ORE 20.45 CONFRONTO TRA I CANDIDATI A SINDACO.
Gli amici del Mosaico stanno lavorando da mesi per organizzare un evento pubblico abbastanza unico nel suo genere. Non si tratta infatti di un "semplice" dibattito tra i candidati a sindaco di Bologna, ma di un confronto che avviene sulla base di oltre 100 domande a cui i candidati hanno già dato risposta scritta. Questo il titolo:
LE SCELTE DEL PROSSIMO SINDACO DI BOLOGNA
Sveliamo il "non detto" dei programmi elettorali
i Candidati a Sindaco si confronteranno Mercoledì 27 aprile, alle ore 20:30 presso il nuovo cinema Nosadella v. Berti 2/7
POTETE LEGGERE LE LORO RISPOSTE A 100 DOMANDE, ARTICOLATE SU 19 TEMI CALDI, cliccando in rete dal 25 aprile sul sito www.ilmosaico.org
Buona Pasqua di resurrezione a tutti.
Andrea De Pasquale
www.andreadepasquale.it