Andrea De Pasquale

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Gennaio-marzo 2005 (3 interventi)

Intervento del 29 marzo 2005 (sullo schema di Accordo Territoriale tra Provincia e comuni dell'associazione Terre d'Acqua per l'elaborazione in forma associata dei piani strutturali comunali).


DE PASQUALE – Grazie. Sarò breve, perché non ripeterò le cose dette una settimana fa, anche se il Consigliere Labanca adesso non mi può ascoltare subito, però speriamo che rientri, anche perché poi è successo che, rileggendomi i verbali, dopo sono stato citato sette o otto volte, cosa che può anche appagare il mio amor proprio ma annoia terribilmente magari altri Consiglieri; quindi mi terrò lontano da ogni polemica, oggi, per fare semplicemente una osservazione che deriva dalle parole del Consigliere che mi ha preceduto.

In sostanza - dice il Consigliere - c’è un problema di legittimazione. Cioè ha usato espressioni del tipo: stiamo spogliando la competenza degli organi deliberativi istituzionali; cioè con questi accordi si saltano i Consigli comunali. Ora, io sinceramente non capisco come si possa arguire questo dal processo che la Provincia sta presentando e ha messo in piedi. Se io non ho capito malissimo tutto quello che sta dietro al PTCP e alla pianificazione associata, succede questo. Succede che degli organi, legittimamente e democraticamente eletti, come dei Consigli comunali, decidono in maniera volontaria, come ha detto proprio il Consigliere Labanca, in maniera volontaria di aderire a questo processo di pianificazione associata. Succede che quindi fanno una cosa, insieme, che è questo schema d’accordo; e che questa cosa verrà poi addirittura riproposta a questi organi legittimamente e democraticamente eletti, cioè ai Consigli comunali.

Ora, io sinceramente non capisco qual è il deficit di democrazia, qual è il deficit di legittimazione a cui andiamo incontro. Questi sono stati eletti, hanno liberamente scelto di fare questa cosa, dopo averla fatta ritornano nei Consigli per dire se va bene o no nel merito. Obiettivamente non riesco a capire dove stia il problema. E allora ritorno a una domanda e con questa concludo. Avete detto, amici dell’opposizione, martedì scorso, in replica al mio intervento: noi non siamo contrari alla pianificazione associata, noi siamo però contrari al come e il modo ci offende in qualche modo. Beh, io davanti ad un modo come quello che è stato illustrato e che ho qui sinteticamente riassunto, continuo a non capire il perché di questa contrarietà. Noi, invece, faccio a questo punto anche la dichiarazione di voto, siamo, come già detto martedì scorso, per il circondario imolese, non soltanto favorevoli ma anche molto soddisfatti di potere cominciare a potere deliberare questo tipo di accordi, anziché – aggiungo io - trovarci davanti, come in passato, sempre a piccole varianti, a piccole cose di carattere campanilistico. E invece siamo molto soddisfatti di potere ragionare con un respiro sovracomunale e quindi associato. Per questo dichiaro il voto favorevole mio e del mio Gruppo a questa delibera. Grazie.

Intervento del 22 marzo 2005 (sullo Schema di Accordo Territoriale tra la Provincia di Bologna e i comuni del Circondario Imolese per l'elaborazione in forma associata dei Piani Strutturali Comunali, votata dalla maggioranza, contraria l'opposizione).


DE PASQUALE – Grazie Presidente e grazie Colleghi. Sarò breve perché il Collega Mattioli mi ha reso superflua la sottolineatura di alcuni aspetti che ha ben evidenziato lui, appunto. Io, però, avendo già osservato un inizio di questa discussione nella Commissione che presiedo, ci tenevo a fare notare al Consigliere Labanca e ai Colleghi di minoranza che in realtà in Commissione chi non ha voluto entrare nel merito dell’accordo sono stati proprio loro; sono stati proprio loro, perché in Commissione - è bene che anche chi non c’era lo sappia - l’unico obiettivo, mi viene da dire il nemico, individuato negli interventi dei Consiglieri di minoranza, è stato lo strumento. Lo strumento in questo caso del circondario.

Quindi non si è scesi nel merito di che cosa lo schema di accordo andava a proporre; ma ci si è limitati a dire: non ci piace il circondario. Quindi, poiché questa cosa la fa il circondario, non piacendomi il soggetto, non mi piace neanche la cosa che viene fatta. Questo è un dato di fatto. C’è un verbale della Commissione ed è importante che anche chi ci ascolta lo sappia.

Il secondo punto che vorrei sottolineare a chi mi ascolta è appunto relativo alla natura degli emendamenti. Perché, vedete, uno può chiamare costruttivi sette emendamenti, che non sono 70 e di questo in effetti io ringrazio personalmente, non avendo come massima aspirazione fare le due di notte, però, quando questi emendamenti, nella sostanza, vanno di fatto, oggettivamente, a rendere difficoltosa l’attuazione dell’accordo, quando non - in certi punti - impossibile, beh, effettivamente non si tratta di emendamenti costruttivi e migliorativi. Si tratta di un tentativo di
svuotamento dello strumento. E faccio un esempio. Io vengo da una banalissima e umilissima esperienza di quartiere, che però in questo dovrebbe essere condivisa anche dal Consigliere Guidotti. Ricordo di avere visto passare, proposti dal Comune di Bologna, tantissimi schemi di accordo. In tutti, mi pare di ricordare, c’era una clausola di elasticità, trattandosi appunto di schemi di accordo; a partire dal genere letterario dello schema di accordo. Il fatto che quando, poi, si va in fase conclusiva, convenzionale, nel senso che si firma il contratto, attuativa, ci deve essere un margine di aggiustamento. E questa è - diciamo - la formula che invece l’emendamento numero 2 mi pare chiedeva proprio di eliminare.

Cioè non siamo di fronte a uno scippo, come ha detto il Consigliere Labanca, della potestà deliberativa del Consiglio provinciale. La formula di elasticità parla di lievi modifiche di carattere non sostanziale. Tant’è che poi c’è sempre la fase successiva, in cui si valuta se il prosieguo dell’accordo rispetta le linee di indirizzo appunto dello schema, che è quello che noi oggi andiamo ad approvare, che mi auguro sia approvato.

E vengo alla sostanza, per poi concludere, che mi sta più a cuore. Noi tutti patiamo, a Bologna e Provincia, grandissimi problemi di inquinamento, di congestione, di dispersione irrazionale degli insediamenti, causati appunto da una pianificazione urbanistica che in passato si è fermata al confine comunale. Tutti abbiamo sempre detto,
almeno io non ho sentito dire nessuno che non esiste questo problema e che le cose vanno bene come sono. Ora, oggi, lo strumento della pianificazione associata è l’unico, è l’unico strumento concreto e praticabile per voltare pagina, per cioè iniziare a guardare al territorio con una ottica che non è quello dell’interesse del singolo Comune ma un interesse più generale, appunto metropolitano. Ora io vorrei chiedere agli amici e Colleghi di centro destra, al di là - diciamo - delle giuste e legittime questioni procedurali, nelle quali effettivamente sono maestri, perché io non sarei altrettanto bravo a individuare, insomma, il profilo di eventuale criticabilità di un percorso, però, in sostanza, a chi ci ascolta, ai cittadini diciamo che cosa proponete. Se non va bene la pianificazione associata, se ogni Comune deve fare da sé, allora o vanno bene le cose come stanno, vanno bene le polveri, vanno bene le code di un’ora e mezza per venire a Bologna dai Comuni della cintura, o se no ci deve essere un’altra soluzione.

Qual è questa soluzione, se non va bene la pianificazione associata? Quando voi oggi voterete, mi pare di capire, contro questo accordo, non so, fate una scelta che mi stupisce; perché mi sembra che manchi completamente l’alternativa, l’alternativa positiva. Cosa dobbiamo fare davanti al problema insediativo? Continuiamo a costruire tutto dovunque? Mandiamo avanti i 190 insediamenti produttivi che ci sono adesso?
Oppure ha ragione il PTCP, che dice: beh, facciamone un pochino di meno, un pochino più concentrati, con migliori dotazioni, di trasporti, ecologici e così.

Ragazzi, qui il bivio è evidente: o le cose vanno bene così, allora diciamo no alla pianificazione associata e andiamo avanti come si è sempre andati, e ci teniamo la città e la Provincia con il traffico e i problemi di inquinamento che stiamo avendo; oppure qualcosa bisogna fare. Se la pianificazione non va bene, c’è qualcosa di meglio, ditecelo cos’è questo di meglio. Io, non conoscendolo, non avendo capito che cos’è, dichiaro il mio voto favorevole, mio e di tutto il Gruppo, e anche convinto e soddisfatto, perché si sta praticando finalmente questa strada che ritengo, riteniamo, quella giusta per cambiare aria, per voltare pagina; e mi auguro che a questo accordo, a questo schema di accordo presto altri ne seguano, in modo che tutta la Provincia di Bologna si orienti a questo modo di considerare il territorio, in maniera integrata e associata e non più per singolo Comune. Vi ringrazio.

Intervento dell'1 febbraio 2005 (60° anniversario del diritto di voto alle donne)


PRESIDENTE DEL CONSIGLIO – Ha la parola il Consigliere De Pasquale, Gruppo Margherita.

DE PASQUALE – Bene. A 60 anni dal voto alle donne voglio guardare e invitarvi a guardare a questa ricorrenza da due prospettive diverse. Una riguarda la necessità del contributo femminile alla vita sociale in generale, alla vita politica in particolare. L’altra riguarda invece il tema dei diritti delle donne.

Sul primo punto. Esiste uno specifico femminile, una peculiarità di genere, nelle scelte politiche e anche nella formazione del substrato culturale proprio di una società, direi nella produzione di significati sociali. Gli esempi abbondano. Cito solo, per quanto riguarda la politica, il diverso modo di affrontare i conflitti; per quanto riguarda il lavoro, per esempio, l’equilibrio che tipicamente le donne sanno mantenere tra la competizione e l’aiuto. E in generale cito il ruolo di anello forte ricoperto dalle donne, capace di tenere insieme e fare crescere le relazioni tra le persone, le famiglie, le generazioni e, in generale, nell’intero tessuto sociale. Allora il tema non è che le donne hanno bisogno di andare in politica perché così hanno una gratificazione. Il tema è il contrario: che la politica e l’economia hanno bisogno delle donne. E ha bisogno di questo contributo oggi più di dieci o venti anni fa. Perché? Perché viviamo un clima culturale, nel senso di cultura diffusa, di immaginario collettivo, non di elite, un clima che ci spinge a pensare in termini sempre più individualisti, che ci descrive costantemente in lotta l’uno contro l’altro. E ci illude di acquisire benessere e ricchezza nella direzione dell’accumulo e del consumo. Davanti a questo quadro abbiamo bisogno di una nuova produzione di significati, per parole come sviluppo e ricchezza, benessere e giustizia, identità e accoglienza. Per dare nuovi significati, nuovi contenuti a queste parole, abbiamo bisogno quindi non solo del voto ma anche del vissuto delle donne, nella politica e nell’economia.

E vengo al secondo punto, quello dei diritti. Quella del voto è certamente una grande tappa nel cammino dei diritti delle donne; ma, parlando di diritti e di donne, oggi, a Bologna, il pensiero mi corre fuori da quest’aula, non troppo lontano, basta arrivare ai viali o alla zona Fiera. So che può apparire sgradevole questa uscita ma la sento doverosa. Quindi voglio guardare e invitarvi a guardare ad una particolare categoria di donne, a queste ragazze, talvolta poco più che bambine, rapite o ingannate con false promesse di lavoro, violentate nel corpo e nello spirito fino ad annullarne la dignità, la volontà, la stessa identità, ridotte ad uno stato di terrore e sottomissione, per poi essere vendute sui marciapiedi. A chi? Sarebbe anche il caso che ce lo chiedessimo. Questo accade oggi a Bologna, per centinaia di donne, per le quali parlare di diritti può avere soltanto un sapore di cinico sarcasmo.

Ho fatto una ricerchina sui giornali di Bologna per parole chiave, la parola prostituzione, e ne ho trovate parecchie, in parecchi articoli, sempre sul degrado urbano. Si parla, comitati, cittadini, di bottiglie rotte, escrementi, spacciatori e prostitute. Quindi è un problema estetico, un problema di decoro. Oppure un problema di costume, su cui si sorride, si ammicca, evitando di entrare nel merito, per paura di passare per moralisti. Ma la riduzione in schiavitù e la violenza continuata non sono un problema di morale o non solo di morale; ma di diritti, appunto.

Dobbiamo quindi aprire gli occhi sulle diffuse complicità culturali e sociali che fanno da cornice a questo dramma, a questo punto zero dei diritti delle donne. Complicità che affondano le proprie radici in una certa concezione del consumo sessuale, del corpo come oggetto di mercato e strumento di marketing, della martellante celebrazione riguardo al sesso della pulsione istintuale al di sopra dell’educazione e della relazione con l’altro. Solo aprendo gli occhi su queste complicità potremo guardare negli occhi queste donne e combattere una battaglia politica e culturale per i loro diritti. Per questo chiudo, ringraziando il Presidente del Consiglio e i Colleghi Consiglieri per questa occasione di riflessione, e ringraziando anche la Presidente e la Giunta per avere dato il patrocinio della Provincia ad un importante evento che si terrà domani sera, 2 febbraio, alla multisala di via dello Scalo, dedicato proprio al fenomeno della prostituzione nel mondo globalizzato, dove ci sarà Alex Zanotelli con una relazione proprio sulla nuova tratta sulle schiave.

Credo che aprire una riflessione collettiva su questo fenomeno sia il modo migliore per celebrare i sessant’anni del diritto di voto alle donne. Vi ringrazio.
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