Andrea De Pasquale

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I nodi al pettine del People Mover e ancora consumo di suolo; il PD da Bersani a Renzi, verso un congresso fondativo. Bologna e dintorni, estate 2013

Bologna, 10 ottobre 2013

Cari amici,

ritorno a scrivere dopo diversi mesi di pausa, nei quali ho continuato a seguire le questioni a me più care, come quelle urbanistiche e il tema del lavoro e del fare impresa (vedi facebook.com/andrea.depasquale e da poco twitter.com/depa65 )

Ora torno alle mie newsletter mensili, avendo aggiunto tra i destinatari qualche nuovo indirizzo di amici conosciuti in questi mesi. Ribadisco che per non ricevere questi messaggi basta scrivermi "cancellami", e non sarete più disturbati. Al contrario, se avete amici interessati segnalatemi la loro e-mail.

3 gli argomenti di questa edizione:

1. PEOPLE MOVER. I PRIMI NODI AL PETTINE...

2. CONSUMO DI SUOLO: TRA IL DIRE E IL FARE

3. IL PD DA BERSANI A RENZI: UN CONGRESSO "FONDATIVO" PER ANDARE OLTRE 3 LIMITI STORICI

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1. PEOPLE MOVER. I PRIMI NODI AL PETTINE...

Sapete - quelli di voi che mi conoscono da più tempo - che al collegamento Aeroporto-Stazione ho sempre dedicato una certa attenzione, documentando come la soluzione tecnica della navetta dell'azienda Intamin denominata "People Mover" sia sostanzialmente "una patacca". Per un ripasso, ecco due link a pagine del mio sito:

http://www.andreadepasquale.it/interno.php/Bologna-e-dintorni-speciale-People-Mover/?ID_MENU=16315&ID_PAGE=16772

http://www.andreadepasquale.it/interno.php/Bologna-e-dintorni-febbraio-2012/?ID_MENU=16315&ID_PAGE=16841

Ma veniamo a quanto è successo in proposito in questi mesi.

Lo scorso 8 maggio l'Autorità di Vigilanza dei Contratti Pubblici, con la delibera 18, ha bocciato la procedura con cui è stato portato avanti il progetto del People Mover, in quanto si tratterebbe di un "Project Financing" sostanzialmente finto, che si risolve in un mero appalto, e configura una violazione del principio di trasparenza e di parità di condizioni dei concorrenti.

Questo perché la parte pubblica "concedente" diventa anche "concessionaria" in forza dei patti parasociali che prevedono l'uscita del socio privato (il Consorzio Cooperative Costruzioni) dalla gestione. Se ci pensate, è la stessa cosa che avevamo detto fin da quando si scoprì l'esistenza di questo patto (che non fu mai sottoposto all'esame del Consiglio Comunale): la parte privata incassava il prezzo della realizzazione dell'opera, lasciando sulle spalle della comunità i rischi di gestione.

L'esatto contrario di come funziona un Project Financing, dove in capo ai privati rimane sempre una quota maggioritaria dei rischi derivanti dall'investimento; un concetto semplice, che abbiamo invano cercato di spiegare in questi anni all'Amministrazione (e al PD), e che trovate limpidamente riassunto l'articolo uscito il 24 maggio su Edilizia e Territorio, supplemento al Sole 24 Ore, intitolato: "L'Autorità contro il People Mover di Bologna: project financing finto".

http://www.ediliziaeterritorio.ilsole24ore.com/art/norme/2013-05-23/lautorita-contro-people-mover-172837.php?uuid=AbUBiUyH

Se si considera la scarsa portata del mezzo (una ventina di passeggeri per corsa) e la tecnologia quantomeno fantasiosa (di derivazione Luna Park), caratteristiche che hanno da sempre convinto poco i tecnici indipendenti, è molto probabile che la gestione generi perdite costanti e sistematiche, caricate sulla collettività. Forse è anche per questo motivo che il famoso "Piano Economico Finanziario" relativo all'esercizio del People Mover è in stato di "revisione" da ormai 2 anni, e senza esito, come senza esito appare la ricerca di nuovi partner privati interessati alla gestione.

In seguito a questa pronuncia dell'Autorità di Vigilanza, Marconi Express (la società "di scopo" composta per ¾ dal Consorzio Cooperative di Costruzione, e per ¼ da TPER, già ATC), ha fatto ricorso al TAR, che dovrebbe pronunciarsi intorno alla metà di novembre. Staremo a vedere.

Intanto a settembre abbiamo appreso che il Comune di Bologna ha scritto alla Regione per formalizzare un nuovo rinvio dei lavori per il People Mover, dovuto alla revisione del Piano Economico Finanziario (sempre lui). Ricordo, incidentalmente, che la presidente di Marconi Express, l'ing. Rita Finzi (persona seria, che ho avuto il piacere di conoscere di persona al dibattito sul consumo di suolo alla festa dell'Unità del Parco Nord) aveva detto: "Se non si parte entro l'estate si chiude il discorso". Evidentemente la speranza (o l'ostinazione) è l'ultima a morire...

Infine, proprio in questi giorni è uscita la notizia (a seguito di una riunione di commissione in Consiglio Comunale, i primi di ottobre) che il People Mover è già costato 8 milioni di Euro in consulenze e progettazione, pagati con denaro pubblico tratto dalla prima tranche dei 27 milioni erogati dalla Regione a fondo perduto. Che dire? D'altronde, a febbraio un rapporto della Guardia di Finanza aveva accertato che la gestione dell'appalto per la realizzazione del Civis ha provocato un danno all'erario da 35 milioni:

http://ricerca.gelocal.it/repubblica/archivio/repubblica/2013/02/09/dal-civis-danno-allerario-per-35-milioni.html

E questo sui 180 milioni complessivi spesi, tra opere stradali e acquisti di mezzi che invecchiano parcheggiati al CAAB: http://qn.quotidiano.net/cronaca/2013/10/04/960277-tram_chiamato_incubo.shtml

Davanti a questo quadro, non so se faccia più tenerezza o rabbia il deputato europeo Sergio Gaetano Cofferati (fu sindaco nostro, vi ricordate?) il quale, di passaggio i primi di ottobre a Bologna per l'inaugurazione del MAST (Manifattura di Arti Sperimentazione e Tecnologia, realizzato dalla famiglia Seragnoli, proprietaria della GD), ha dichiarato alla stampa la sua meraviglia per la differenza di tempi di realizzazione tra un'opera privata e una pubblica, aggiungendo: "Non riesco a capire perché non si faccia il People Mover". Forse perché i privati cercano di fare le cose per bene, a partire dall'inizio, scegliendo tecnici veri e non al guinzaglio della politica, che non trascurano omologazioni o piani di gestione. Può bastare come differenza?


2. CONSUMO DI SUOLO: TRA IL DIRE E IL FARE

Iniziamo dal Centro Sportivo del Bologna Football Club a Granarolo, di cui come sapete mi sono abbastanza interessato. Il 20 di giugno il TAR, nell'udienza convocata per discutere della richiesta di sospensiva dei lavori, ha rinviato al 5 dicembre la discussione nel merito del ricorso contro il progetto del nuovo Centro Sportivo BFC a Granarolo. La decisione è stata concordata con gli avvocati delle parti, a fronte dell'impegno scritto assunto dal BFC di non far partire i lavori (eccetto alcuni sondaggi per verificare l'assenza di reperti bellici o archeologici).

Sull'argomento a giugno ho scritto, dopo quello pubblicato su Bodem, un articolo per Il Mosaico, che trovate qui:

http://ilmosaicobo.wordpress.com/2013/06/08/bfc-a-granarolo-pubblico-interesse/

Sul tema più generale del consumo di suolo agricolo, si è riacceso il dibattito i primi di settembre, grazie ad una meritoria iniziativa di Repubblica Bologna (che ho spesso criticato per la parzialità delle sue cronache politiche, ma che in questo caso ha svolto un importante servizio) dedicata alla scarsa coerenza tra il dire e il fare in urbanistica. Ecco l'articolo che ha aperto questo dibattito:

http://bologna.repubblica.it/cronaca/2013/08/31/news/quei_piani_urbanistici_drogati_soltanto_per_ottenere_consensi-65633392/

Ne sono seguite prese di posizione di diversi amministratori ed esperti di pianificazione territoriale, ai quali abbiamo voluto rispondere, con una lettera scritta insieme a Sergio Salsedo, coordinatore del Forum Territorio Sostenibile del Partito Democratico, e firmata da diversi membri dello stesso Forum, che trovate qui sul mio sito:

http://www.andreadepasquale.it/interno.php/Urbanistica-consumo-di-suolo-e-pentimenti-tardivi/?ID_MENU=17087&ID_PAGE=17540

Sempre sul tema ho partecipato a un dibattito alla Festa dell'Unità, la sera di domenica 1 settembre, insieme a Paola Bonora (docente universitario), Rita Finzi (Consorzio Cooperative Costruzioni), Patrizia Gabellini (Assessore all'Urbanistica del Comune di Bologna), Maurizio Maurizzi (sindacalista CGIL), Claudio Mazzanti (consigliere comunale di Bologna), Luigi Amedeo Melegari (presidente Collegio Costruttori), Maurizio Sani (urbanista), Giacomo Venturi (vicepresidente della Provincia).

La tesi sostenuta in modo praticamente unanime da me, Bonora e Sani è che in questa materia si continua a predicare bene e razzolare male (e pensavamo agli amministratori). Non sapevamo però che alcuni degli esponenti delle imprese non si preoccupano nemmeno di predicare bene: nel nobile intento di difendere posti di lavoro, sembrano non accettare un cambiamento che sposta inesorabilmente dalla nuova costruzione alla riqualificazione edilizia il business del futuro. L'intervento più nostalgico è stato quello dell'esponente sindacale, che facendo leva sui numeri drammatici del calo di occupazione nel settore delle costruzioni, ha apertamente auspicato una nuova stagione di espansione urbana e di nuove edificazioni, di cui però mancano totalmente i presupposti economici (la famosa domanda), oltre che ambientali. Mi sono reso conto che su questo a Bologna se la politica è indietro, la cultura economica e sindacale lo è ancora di più.

Infine, segnalo l'ottimo articolo di Valerio Varesi su Repubblica Bologna del 20 settembre ("Così un virus urbanistico ha cementificato Granarolo":

http://bologna.repubblica.it/cronaca/2013/09/20/news/cos_il_cemento_invade_le_campagne_di_granarolo-66912705/?ref=search

che descrive con in modo fedele un fenomeno di cui sono spettatore ormai da 15 anni, da quando ho l'ufficio in quel comune, dove ho visto trasformare case coloniche in corti rurali da 10 appartamenti, e stalle e pollai in grappoli di villette a schiera, in barba a tutti i proclami contro la dispersione insediativa che genera traffico privato e rende inefficace il trasporto pubblico.

A questo articolo ha voluto replicare il sindaco di Granarolo Loretta Lambertini, ma con sole affermazioni di principio, senza mai rispondere nel merito:

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2013/10/04/urbanistica-il-sindaco-lambertini-si-difende-granarolo.html?ref=search

In proposito vi segnalo sul mio sito questo collage di foto (composto da un amico utilizzando Google Earth nella funzione "storica"), che mostra alcuni esempi di proliferazione edilizia in aperta campagna, proprio nel comune di Granarolo, che non hanno bisogno di commenti. 

http://www.andreadepasquale.it/interno.php?ID_MENU=17087&ID_PAGE=17546


3. IL PD DA BERSANI A RENZI: UN CONGRESSO "FONDATIVO" PER ANDARE OLTRE 3 LIMITI STORICI

Sull'opportunismo di tanti dirigenti del PD che, dopo aver sostenuto Bersani con "fedeltà canina" (copyright Aldo Bacchiocchi), a valle della sconfitta elettorale si sono scoperti renziani, ho fatto anch'io molta ironia. Capisco però che, se si vuole che le idee diventino maggioritarie e quindi azione di governo, non si può essere schizzinosi rispetto ai nuovi compagni di strada, anzi bisogna accogliere come una buona notizia le diffuse "conversioni" al sindaco di Firenze. Del quale sono stato un sostenitore della prima ora (ho fondato il primo comitato bolognese, un anno fa), e che mi convinceva di più un anno fa di oggi, per un paio di ragioni che cercherò di spiegare. Ma riprendiamo il filo dal dopo elezioni.

Mi ha colpito il passaggio da un sostegno anche troppo fanatico e fideistico a Bersani (con noi descritti come traditori e infiltrati...) al frettoloso abbandono del leader dopo il fallito tentativo del governo. Siccome non so far prevalere il giudizio politico sull'aspetto umano, in quei giorni di umiliazione sono stato "bersaniano" più io di tanti "compagni" già in fuga verso altri lidi. Questo è conseguenza, secondo me, del fatto che le maggioranze blindate ma false sono ancora una prassi in questo partito, e quanto più esagerato è l'appoggio, tanto repentino sarà il cambio di posizione. In questi casi provo ammirazione per persone anche lontane da me come idee e posizioni, tipo Francesca Puglisi, per il fatto di essere stata fedele al capo anche in disgrazia. Nella mia visione questi aspetti umani, di lealtà personale, vengono prima del resto.

C'è poi stato un momento in cui ho avvertito una terribile fragilità identitaria di questo partito: l'infatuazione per l'ipotesi Rodotà al Quirinale. Una figura che ha rifiutato il progetto del PD giudicandolo una pericolosa contaminazione tra la cultura "pura" di sinistra e altre culture politiche inferiori, estremista in diversi passaggi anche recenti (la mancata presa di distanza dagli stili sguaiati e irrispettosi del Movimento 5 Stelle, la comprensione per le BR, ecc.) è stata improvvisamente vista da diverse componenti del Partito Democratico come il possibile presidente della Repubblica, il garante dell'unità della Nazione.

Altro momento di crisi, i primi di agosto, quando la Cassazione ha confermato la condanna definitiva di Berlusconi per frode fiscale. E il partito che ne ha subito le maggiori conseguenze non è stato il PDL ma il PD. I dubbi e i tormenti sull'opportunità di continuare l'esperienza del governo delle "larghe intese" si moltiplicano in quei giorni nei discorsi dei parlamentari come nei circoli sul territorio. Quasi che prima si pensasse, noi del PD, che Berlusconi fosse un alleato di governo scelto per la sua specchiata onestà, e la sentenza venisse a ribaltare questa nostra convinzione, mettendo in crisi i presupposti del governo. In realtà quella pronuncia giudiziaria ha soltanto confermato quanto noi già politicamente dicevamo da sempre. Non governiamo con "loro" perché abbiamo cambiato idea sui valori di fondo, ma per uno stato di necessità che la sentenza non ha per nulla modificato (crisi economica, debito, mercati scettici, spread in aumento, ecc.) Gli alfieri del cambio di linea sul governo (Civati in testa) dicevano invece una cosa tutta diversa, che cioè avevamo pensato di governare insieme perché non eravamo più alternativi, e Berlusconi era diventato per noi un buon amico. Quindi il sol pensiero di chiedere la crisi di governo per la condanna del capo del Pdl è stato un grave errore politico, perché smentiva le ragioni delle larghe intese come le abbiamo raccontate al mondo e al nostro elettorato. Fortunatamente ci ha pensato poi Napolitano, con una dichiarazione del 13 agosto, a rimettere dritto il timone invitando a distinguere tra vita istituzionale e casi personali (cosa non facile, come abbiamo visto, soprattutto per il senatore Berlusconi...)

Ora con il congresso convocato per domenica 8 dicembre abbiamo secondo me l'occasione per fare finalmente quello che non siamo riusciti a fare in 6 anni, ovvero far nascere PD come partito nuovo, superando tre grandi limiti che finora ci siamo trascinati, e sono stati ben illuminati dalla parabola di Bersani: la cultura politica post-comunista, il senso di superiorità morale e la dipendenza da Berlusconi.

Il primo limite discende dalla mancata fusione culturale tra le due principali componenti fondative del PD, e dalla mancata elaborazione di un progetto condiviso di società e di Stato. La convivenza durata 6 anni si è basata sulla "tolleranza", da parte della componente post comunista, della presenza di "estranei" quali gli ex DC di sinistra e qualche nuovo ingresso di area cattolica o liberal, i quali hanno accettato (quando non cercato) posti marginali di potere in cambio di una sostanziale irrilevanza nella gestione della macchina del partito e nella definizione della sua cultura politica. Anche il successo "interno" di Romano Prodi si può facilmente leggere così: figura perfetta per la sua presentabilità (cattolico, economista, stimato all'estero: 3 cose che agli ex PCI sono sempre mancate) ma anche per la sua debolezza politica (resa evidente ad esempio nelle ricorrenti collisioni con D'Alema). Figure simboliche, di bandiera (come altri cattolici "politicamente innocui" cooptati ai vertici di istituzioni locali) dietro cui la cultura postcomunista ha potuto continuare ad "affettare il maiale", come si dice a Imola, esattamente come prima.

Del secondo limite (la superiorità morale) ho già parlato altre volte, e mi limito qui a riassumerlo. Nell'elettorato PD si è consolidato in questi anni un senso di alterità etica e quasi antropologica rispetto al centrodestra (e un po' anche ad alcune componenti interne dello stesso PD): il voto non è quindi una scelta tra due offerte politiche, ma tra la democrazia e il populismo plebiscitario, tra l'etica pubblica e il suo contrario, insomma tra il bene e il male assoluti. L'idea, che riemerge in tante conversazioni su Facebook o mailing list a cui anch'io partecipo, è fondamentalmente quella per cui un elettore di centrodestra è riconducibile o alla categoria dei disonesti, o a quella degli imbecilli. E che in fondo lo stesso PD sia "nato male" per colpa di una componente non sufficientemente di sinistra, non abbastanza alternativa alla destra, perché troppo liberista, troppo dialogante, troppo antropologicamente vicina a quel mondo (imprese, associazioni sussidiarie, parrocchie...) La figura di Rodotà è esemplare nell'interpretare questo manicheismo culturale, che è il contrario della laicità politica, ma piace tanto ai 5 Stelle (che infatti si sono mangiati in diretta streaming il dogmatico Bersani ma sono arretrati davanti al cattolico Letta, politicamente molto più laico).

Il terzo limite è figlio dei primi due, ed è l'ossessione per Berlusconi, quindi la dipendenza psicologica e politica da lui. Per cui il problema italiano non è tanto la fuga delle imprese, la perdita di posti di lavoro, i costi della macchina pubblica, la pressione fiscale esorbitante, ma lui, Berlusconi. Tolto di mezzo il quale, avremmo risolto i problemi del Paese. Che da 20 anni una metà degli italiani abbia votato per lui non ci interroga sul fronte della nostra credibilità, ma sempre e solo su quello delle regole violate: televisioni, conflitto di interessi, processi, ecc. Insomma, se perdiamo è colpa dell'arbitro, non del nostro gioco.

La migrazione in atto nel PD da Bersani verso Renzi, per quanto segnata da tratti di opportunismo, ci offre allora una occasione splendida per provare ad uscire da questi limiti, dato che il confronto Renzi-Bersani si è svolto proprio su questo crinale (vedi le accuse a noi renziani di intelligenza col nemico, ecc.) Le elezioni di febbraio infatti, dove il Bersani che aveva rifiutato l'idea (renziana) di conquistare voti del centrodestra, si è poi trovato nella necessità di avere il centrodestra addirittura come alleato di governo, hanno fatto aprire gli occhi a molti, mostrando come il campione della purezza identitaria della sinistra (che tatticamente doveva allearsi con il centro in modo da rimanere lei immacolata, e lasciare agli altri, al Centro o ai tecnici, il compito di sporcarsi le mani con temi tipo il debito, i mercati finanziari, il ridimensionamento del welfare, ecc.) ha dovuto smentire totalmente la premessa in base alla quale aveva chiesto il voto: "Mai con quelli là". Una lezione che ha lasciato il segno.

Ecco perché il congresso che abbiamo davanti può davvero essere quello "fondativo" del PD, sia pure con 6 anni di ritardo. Ed ecco perché Renzi, che probabilmente si rende conto di questo, ha tutto sommato ammorbidito i toni e puntato ad una azione più graduale e meno dirompente, accettando di allearsi con pezzi di partito post-bersaniano che oggi si rendono conto, convinti o rassegnati, di dover cambiare qualcosa per poter sopravvivere, e sono quindi disponibili ad accettare un Renzi segretario impegnandosi a stargli accanto per limitarne i danni e farsi garanti di un minimo di continuità (di valori, di interessi e di relazioni di potere).

Anche la vicenda bolognese non sfugge, mi pare, a questa logica: Renzi sa che non può prendersi il partito nazionale, il prossimo 8 dicembre, avendo contro l'Emilia e Bologna, la federazione più importante d'Italia. Ecco allora Bonaccini che diventa responsabile della campagna elettorale di Renzi; ecco Donini che si circonda di figure renziane e promette equidistanza (anche se la sua base e la sua cultura gridano "Cuperlo!" da tutti i pori e le pieghe); ecco lo stesso Renzi che fa capire che non darà copertura di "renziano" a nessun candidato alternativo a Donini, che dopo l'8 dicembre diventerà uno dei segretari più renziani d'Italia.

Se alla come area "renziana" di Bologna abbiamo alla fine scelto, dopo 3 assemblee dibattute e sofferte (il 10 e il 28 settembre, infine l'8 ottobre) che non c'era lo spazio politico per una candidatura "nostra" è stato esattamente per queste ragioni: sarebbe stato difficile a Bologna fare i "renziani senza Renzi" o addirittura "contro Renzi", e sarebbe stato sbagliato scegliere in partenza un ruolo di minoranza quando c'è la possibilità - anzi direi il dovere - di prendersi la responsabilità di guidare (o quantomeno di influenzare) la maggioranza, quella che prenderà le decisioni. Per la mia storia nel PD e il mio temperamento critico sarebbe stato forse più congeniale replicare l'avventura del 2010 sfidando Donini a prescindere dal risultato finale (non ho nulla da perdere), ma credo che stavolta ci tocchi un ruolo diverso, meno di rottura (già la segreteria Renzi è vissuta nel partito come un trauma...) e più di "accompagnamento dolce" verso un congresso che sarà nei fatti una ri-fondazione del Pd, con lo strascico di paure, incognite ma anche opportunità che questo significa.

"E sugli aspetti di Renzi che ti convincono meno oggi di un anno fa, a cui hai fatto cenno, non dici nulla?", mi direte. Ne parleremo alla prossima newsletter, qui sono già stato lungo...

Buonanotte e alla prossima.

Andrea De Pasquale

www.andreadepasquale.it

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