27 giugno 2009
Cari amici,
molti mi hanno scritto chiedendo come è andato l'incontro del 24 sera al Benassi. Di seguito ecco un breve sunto, con in coda 3 proposte di azione locale e un commento sulla situazione nazionale. Rammento a chi non volesse ricevere questi messaggi che basta dirmelo via mail e verrà immediatamente cancellato.
Parto con il solito sommario:
I) L'INCONTRO: 9 TESI E UN RINGRAZIAMENTO.
II) LE PROPOSTE: 3 AZIONI POSSIBILI.
III) IL QUADRO NAZIONALE: NOTE SU ECONOMIA, POLITICA E MORALE.
---------------------------------------
I) L'INCONTRO: 9 TESI E UN RINGRAZIAMENTO
L'incontro del 24 sera è stato a mio giudizio molto positivo. 50 partecipanti, altrettanti che hanno scritto di non poterci essere ma di voler restare "collegati", 20 interventi dal pubblico, dai quali estraggo le tesi che mi sembrano prevalenti, molte delle quali in continuità con le 124 lettere che ho ricevuto in risposta alla mia del 12 giugno.
1. Meno partito, più persone. A sinistra (non solo nel PD) prevale ancora l'idea che il Partito conti a prescindere dalle persone, dalle loro facce e dalle loro storie. Alcune scelte della recente campagna elettorale lo confermano (abbinamenti territoriali, divieto di iniziative personali e di affissioni con le foto, ecc.) Il rifiuto storico della sinistra a dare un giudizio di valore sulle persone crea le premesse per una dirigenza parassitaria e un'erosione del consenso (vedi il calo tra i 140.000 voti per Cofferati e i 110.000 per Delbono).
2. Linguaggio più chiaro e trasparenza. La politica in generale manca di chiarezza nel linguaggio e trasparenza nel rapporto con gli elettori. Trasparenza non è la voglia di curiosare nel privato dell'eletto, ma la giusta pretesa di sapere come l'eletto ci rappresenta, di capire dove ci sta portando, quale futuro ci prospetta con le sue scelte amministrative.
3. Troppe carriere e poche competenze. La composizione dei consigli riflette la preoccupazione dei partiti di garantire carriere ed equilibri interni, dimenticando spesso le competenze "di vita" (che non vuol dire solo professionali, ma anche di stato sociale, di problemi vissuti, ecc.)
4. Legalità e giustizia. Non dobbiamo essere il partito della legalità, ma della giustizia. La legalità è solo uno degli strumenti della giustizia: non coincide con essa. Anche le leggi razziali ieri e il decreto Alfano oggi sono legali. Ma non erano e non sono giusti.
5. Meno propaganda, più ascolto. Siamo stanchi di circoli che anziché portare ai vertici il pensiero della base funzionano come serbatoi di manodopera e megafoni di scelte già fatte. Bisogna ripartire dall'ascolto delle persone, dall'immersione nei loro problemi quotidiani, dalla volontà (e dal sogno) di migliorare un po' la vita di chi è meno fortunato.
6. Lavoratori autonomi incompresi. "Ero dipendente, l'azienda ha chiuso, sono stato costretto a diventare imprenditore: come ideali mi sento di sinistra, sono iscritto al PD, ma mi sento incompreso e imbarazzato". L'ho sentito il 24 e l'ho letto in molti messaggi ricevuti. I lavoratori con partita IVA, che non godono di permessi né di riborsi di giornate lavorative perse per attività politica, vengono spesso considerati per definizione "ricchi ed evasori": questo li spinge per rigetto a votare partiti lontani dai loro valori.
7. Lavoratori pubblici sviliti. La professionalità nel pubblico impiego è sempre più umiliata, prevale ovunque la politica, nel senso di clientela e raccomandazione. I meccanismi di selezione nella PA vanno riportati al merito e all'autonomia dalla politica. In generale va ricostruita e restituità la dignità al lavoro pubblico.
8. Società civile come risorsa. Alcuni ex dirigenti pubblici presenti hanno raccontato della mole di suggerimenti e proposte ricevuti da cittadini e associazioni durante il loro incarico: un patrimonio che la politica non ha voluto utilizzare. Il tema della sussidiarietà è questo: valorizzare le risorse e le soluzioni che la società civile organizzata è in grado di offrire.
9. Più comunità meno individualismo. La differenza principale tra la crisi odierna e quella degli anni '70 è che allora era naturale pensare di affrontare i problemi come comuni, quindi mettendosi insieme, stringendo legami. Oggi prevale un'idea darwiniana, di cavarsela da soli contro gli altri. Questa è la sfida culturale e politica più essenziale per la sinistra.
Il ringraziamento è per tutti i partecipanti, ma in particolare per il gruppo di ragazzi che mi ha aiutato nell'organizzazione della serata e che più in generale sta lavorando da alcuni mesi su un percorso di documentazione e confronto sui temi amministrativi più importanti per Bologna. Mi pare la strada giusta per cambiare alcune cose dal basso, e per parte mia intendo dare il mio contributo.
II) LE PROPOSTE: 3 AZIONI POSSIBILI
Concretamente dalla serata (e dai messaggi ricevuti "a latere") emergono 3 possibili linee di azione:
1)
La ricostituzione di un gruppo del tipo "Compagnia dei Celestini" sui temi dell'Urbanistica e dei Trasporti a Bologna: tecnici, amministratori o ex, semplici cittadini appassionati o preoccupati, si scambiano informazioni e creano una rete, magari in grado di influenzare le scelte amministrative in materia.
2)
L'idea di rispolverare l'esperienza di Gigi Pedrazzi (già vicesindaco di Vitali) sotto il nome di "cittadini in Consiglio" (ne nacque un giornale che mi pare si chiamasse "Il Raglio"), per cui ogni lunedì pomeriggio un gruppo di cittadini (organizzati per turni e per competenze) segue i lavori del consiglio comunale, raccontandoli all'esterno allo scopo di "incalzare" gli eletti su certi temi o sulla coerenza tra detto e fatto. A questo proposito sarebbe opportuno raccogliere entro l'estate una serie di disponibilità (almeno una trentina di persone, in modo da organizzarsi su turni e garantire un minimo di continuità) per poi dividersi i compiti e partire dall'autunno a presenziare i lavori.
3) La proposta, se si vuole banale, che quanto più siamo scontenti e delusi dalla gestione del PD, anziché rimuginare o restare alla finestra,
ci iscriviamo per tempo (entro il 21 luglio) al partito per provare a contare nel Congresso di ottobre, in modo da influenzarne i risultati a livello locale e dare un contributo di rinnovamento. Contro di noi c'è forse un problema di numero e di organizzazione. A nostro favore c'è che non abbiamo nulla da perdere. E che potremmo invece aiutare un partito "tanto necessario quanto inadeguato" come è oggi il PD.
Come si vede, l'ultima azione è prettamente interna al PD, mentre le prime due sono aperte e rivolte ad un'area più vasta, che definirei di cittadinanza attiva. E sono convinto che l'azione interna e quella esterna non siano affatto alternative, ma anzi si rafforzino reciprocamente.
III) IL QUADRO NAZIONALE: NOTE SU ECONOMIA, POLITICA E MORALE.
Dopo esserci concentrati sulle amministrative, è tempo di riallagare lo sguardo anche sul piano nazionale.
Intanto una nota sulla politica economica del governo, che mi pare andare all'opposto di una politica liberale, verso un rafforzamento delle protezioni alle "caste": ricordo in proposito il rinvio "sine die" dell'azione collettiva che avrebbe consentito azioni giudiziare comuni contro abusi da parte di grandi aziende (class action), il tentativo di tenere indenni i manager dalle conseguenze delle loro scelte aziendali (norma salvamanager, poi abbandonata), la scelta di mantenere sotto organico il numero dei notai, già protetti dal numero chiuso (6.000 in tutta Italia), ma ora ancora più garantiti dalla scelta di non bandire concorsi e di tenerne fermo il numero agli attuali 4.500 in esercizio. Un discreto regalo per una categoria il cui reddito medio è di (da quanto ricordo, a memoria) 300.000 Euro all'anno.
Quindi il tema attuale, sul rapporto tra moralità e politica, dati i comportamenti del massimo rappresentante del governo.
La prima osservazione è che non c'è bisogno di curiosare sotto le lenzuola di Palazzo Grazioli o di Villa Certosa per porsi domande in materia. Bastano i comportamenti pubblici e le dichiarazioni ufficiali.
Già in aprile il capo del governo, per difendersi dall'accusa di utilizzare, nella scelta di candidate e collaboratrici, le stesse qualità (aspetto fisico, sex appeal) che fanno far carriera in televisione (guardacaso!), soavemente dichiara: "essere belle e benvestite non è un male, non possiamo mica avere in parlamento solo delle Rosy Bindi". E per solennizzare meglio il 25 aprile, passando tra le macerie abruzzesi dietro una volontaria, a microfoni e telecamere accese, dice sorridente "posso palpare un po' la signora?". La signora era Lia Giovanazzi Beltrami, 41 anni, assessore alla Solidarietà della provincia autonoma di Trento in quota UDC. Il
video è stato trasmesso dalla televisione TCA Trentino TV alcuni giorni dopo il fatto, e la notizia è stata ripresa da diversi quotidiani (tra cui il Corriere della Sera del 6 maggio, a pagina 5). Da qui è stato solo un crescendo, con l'apice toccato dal deputato ed avvocato personale Ghedini, che ha coniato l'espressione "utilizzatore finale" parlando di ragazze. Non di automobili, non di case, non di vestiti: di donne. Quale rispetto della persona, quale idea di relazione uomo donna, quale modello di sessualità ne emerge? E si tratta, lo ripeto, di dati pubblici e ufficiali, non rubati al privato.
Da padre di 3 figli e da educatore cattolico mi ritrovo in quanto scritto alcuni giorni fa da Giancarla Codrignani:
"Ci sono ragazze che si fanno vanto di ricevere farfalline d'oro per prestazioni anche solo di passività ad atti di concupiscenza visiva e tattile, che non si sentono prostituite o private di libertà e dignità: e noi senza un sussulto?"
Non mi ritrovo affatto invece nella linea intrapresa da Avvenire, che nell'editoriale del 23 giugno 2009, affidato alla penna di Carlo Cardia e intitolato
"In merito al dibattito tra politica e morale: rispettare il voto dei cittadini", afferma: "C’è da chiedersi se sia possibile anche solo concepire il ribaltamento di un assetto politico largamente votato nel 2008 (e confermato di recente) per questioni che, comunque si vogliano valutare, non hanno attinenza con il patto di governo che unisce forze legittimate da elezioni democratiche. (...) Non si può dimenticare che la prima regola di moralità politica in una democrazia è che il voto popolare sia rispettato, e non stravolto da gruppi che non ne hanno legittimità". Dunque: il voto come legittimazione insindacabile, la maggioranza elettorale come fonte di una moralità superiore, e chi oppone obiezioni etiche prima di parlare deve vincere le elezioni, altrimenti "non ha legittimità". Mi sembra una posizione molto avventata, per non dire spericolata, sul giornale della Conferenza Episcopale Italiana. Perché oggi può servire a proteggere un governo considerato "amico". Ma erode alla radice la concezione cristiana del rapporto tra morale e politica. E chi oggi nega legittimità morale a magistratura, libera stampa e opposizione, come farà domani a difendere il diritto della chiesa a intervenire sulla stessa materia morale? Dovrà anche la CEI vincere nelle urne per poter prendere la parola sulla politica?
Basta, sono stato lungo anche stavolta. Me ne scuso, e per un poì' vi lascio in pace. Parto infatti domani (anzi, è già oggi) per qualche giorno di vacanza. Ci sentiremo dalla metà di luglio.
Andrea De Pasquale
www.andreadepasquale.it