gennaio 2007
Seduta del 26 gennaio
Convocata per partecipare al seminario "Superluoghi: i luoghi della mobilità", organizzato dal Settore Pianificazione della Provincia di Bologna e avente ad oggetto la riqualificazione della Stazione Termini di Roma e il progetto AVEC per la riqualificazione delle stazioni minori in Svizzera, certamente il più interessante per il nostro territorio.
Il progetto, illustrato da Markus Laenzlinger, responsabile di CEVANOVA, la società di gestione delle stazioni, riguarda proprio una situazione assimilabile alla nostra. Negli anni '90 infatti l'automazione inizia a rendere inutili i servizi di emissione biglietti e controllo del traffico ferroviario, con conseguente abbandono delle stazioni minori (550 in tutta la Svizzera), e connessi rischi di degrado.
Parte allora nel 1997 il progetto AVEC, che dopo un'accurata selezione delle stazioni da recuperare (quelle dai costi di gestione più sostenibili, mentre le altre si è deciso di chiuderle e trasformarle in semplici fermate), punta a garantire un presidio costante (tra le 6.00 e le 20.00, ma in qualche caso anche 21.00 o 22.00) mediante l'apertura e la gestione di piccoli spazi commerciali.
E' stata quindi creata una società apposita (CEVANOVA appunto), formata dalle Ferrovie e da due catene commerciali già presenti sul territorio (MIGROS, alimentari, e KIOSK, giornali e accessori), avente come mission quella di ricavare nelle stazioni spazi commerciali e di affidarli in franchising a gestori privati, offrendo loro importanti servizi centralizzati, tra cui:
- selezione dei fornitori delle merci; - supporto IT, giuridico e amministrativo ai gestori; - progettazione degli spazi, marketing e immagine coordinata; - consulenza sul giusto "mix" di prodotti migliore per un negozio specifico (tenuto conto della superficie e del tipo di utenza); - magazzini di stoccaggio e flotta di distribuzione unificati (per avere costi più bassi, sommando gli ordinativi dei singoli negozi, e massima agilità in grado di assicurare ai negozi piccoli riassortimenti in giornata).
Il progetto ha coinvolto finora 31 piccole stazioni, in ciascuna delle quali sono stati aperti spazi commerciali la cui dimensione media è di 160 mq, distribuiti in 3 aree merceologiche: spesa alimentare (dell'ultima ora), bar, edicola. Sono stati creati così 650 posti di lavoro, distribuiti tra punti vendita e servizi centralizzati, reclutando per primi i lavoratori in esubero nelle Ferrovie, a causa proprio dell'automazione dei servizi.
I vantaggi di questa azione sono evidenti, e si riassumono in 3 punti:
1 - migliorare l'immagine, la sicurezza e la fruibilità delle stazioni; 2 - andare incontro ai cambiamenti degli stili di vita (spesa veloce tornando tardi dal lavoro) 3 - attirare nuovi utenti ferroviari, contribuendo a limitare il traffico stradale.
I risultati hanno superato le migliori attese. In 6 anni di attività (dal 2001 al 2006) si è registrato un aumento medio del 200% dell'utenza, compresa quella ferroviaria (per una crescita annuale del 15-20%). Nel 2006 il fatturato globale di CEVANOVA è stato di 100 milioni di Euro, per una media di circa 3 milioni per stazione, e 12 milioni di clienti complessivi. Tanto che la seconda fase del progetto prevede l'estensione a oltre 100 negozi, per un fatturato globale di 300 milioni di Euro.
Due fatti sintomatici a conferma del successo: il primo, è che a fronte di una utenza media quotidiana di 800 - 1.000 clienti per ogni stazione nei giorni feriali, il sabato e la domenica questo dato sale a 1.500 - 2.000 utenti, segno del fatto che le stazioni diventano un luogo attrattivo per il tempo libero e la socializzazione, al di là del traffico pendolare. Il secondo, è che il co-branding (ovvero l'associazione dei 3 marchi KIOSK, MIGROS e Ferrovie Svizzere) ha dato una tale forza al marchio AVEC, che MIGROS (la catena alimentare) l'ha associato al suo anche nei punti vendita tradizionali, fuori dalle stazioni.
Un'esperienza positiva, derivante anche da scelte commerciali precise, come quella di tenere prezzi convenienti sugli alimentari (in modo che la spesa fatta lì non sia più costosa che fatta altrove), e di far pagare invece molto cari gli alcolici, per disincentivarne il consumo nei locali ferroviari. Una esperienza che sarebbe positivo adattare e replicare anche a Bologna.
Seduta del 19 gennaio
Dedicata a un incontro con il Collegio Costruttori nell'ambito del percorso di approfondimento sulle dinamiche dei prezzi degli alloggi nel territorio bolognese.
Nel suo lungo e interessante intervento il presidente, Marco Buriani, fa una serie di osservazioni che meritano di essere riprese e approfondite.
In premessa, fa notare che nel 2002 si è registrata una inversione di tendenza demografica nelle maggiori aree metropolitane italiane, che dopo un periodo di calo di abitanti hanno ripreso a crescere per il fenomeno immigratorio (o, meglio, per la regolarizzazione degli immigrati). A Bologna in particolare gli alti costi dei terreni nel capoluogo ha generato una espulsione di domanda abitativa, soprattutto quella con meno possibilità economiche, che si è spostata nei comuni intorno. Ulteriore particolarità di Bologna: circa 50.000 studenti fuori sede.
Dalla fine degli anni '90 sono terminati anche i fondi (Gescal) per l'edilizia popolare, e non c'è prospettiva che si torni indietro. Oggi si punta allora ad un rapporto tra pubblico e privato per rispondere ad una domanda abitativa a basso costo, che ha principalmente due destinatari: famiglie a basso reddito (fabbisogno tradizionale), e lavoratori singoli (immigrati extracomunitari o comunitari o italiani, che per lavoro hanno bisogno di fermarsi per un periodo limitato in un luogo). Le esperienze estere rispondono a questo secondo fabbisogno con "case gestite", non normali condominii ma una via di mezzo tra casa privata e residence (cosiddetti "servizi abitativi").
Il coinvolgimento delle risorse private è possibile, secondo la proposta del Collegio Costruttori, attraverso una immobilizzazione temporanea del capitale: 10 anni di locazione a canoni contenuti, poi l'immobile torna al privato che lo gestisce secondo il mercato.
Esempio: terreni di proprietà comunale dati in diritto di superficie. L'equilibrio economico si potrebbe raggiungere con 65% di abitazioni cedute in proprietà convenzionata, e 35% tra affitto di mercato e residenze gestite. Se invece la proprietà è privata, l'equilibrio potrebbe raggiungersi con il 25% in affitto temporaneo convenzionato, studentati e servizi abitativi, e 75% a libero mercato. C'è poi il problema della massa critica, ovvero le quantità su cui si può intervenire, che se sono troppo piccole non rendono possibile il ritorno economico.
Oltre al problema dei costi delle aree (vedi oltre, l'intervento di Preziosi), stanno inoltre arrivando tutte in una volta prescrizioni comunitarie, che alzeranno di molto i costi: es. l'antisismica avrà un impatto dell'8 % (utile dove c'è rischio, inutile altrove), le normative antirumore, ma soprattutto il risparmio energetico dell'edificio (10-12 %). Questi però sono i soldi meglio spesi in assoluto, perchè si recuperano al 300 % nel ciclo di vita della costruzione.
Infine un problema sul bando regionale per l'edilizia convenzionata. Bologna è la città con la maggiore regolarità contributiva: abbiamo iscritto alla mutua degli edili 11.000 dipendenti (erano 5.000 pochi anni fa). Ecco quindi i costi di costruzione più elevati. Ecco però che allora il massimale di 1.800 Euro di costi di costruzione fissato dal bando della Regione diventa insostenibile, in queste condizioni. Il rischio è quello di aprire la strada ad altre imprese, meno attente a mettere in regola i dipendenti.
Il rapporto con l'Acer. La posizione del Collegio Costruttori è antagonista dell'Acer quando lei si presenta come costruttore, cosa che non è. Siamo lieti di collaborare quando siamo sinergici, ovvero ciascuno fa il suo mestiere, le imprese costruiscono, l'Acer gestisce, e per questo può ricevere denaro pubblico. Ma non per alterare la competizione di mercato.
Altra possibilità è il project financing (mutuando esperienze da altri paesi): una proprietà privata viene edificata, lasciata in gestione al privato per tot anni, infine diventa pubblica.
Il direttore Carmine Preziosi si sofferma sul problema enorme dei costi delle aree, ormai vicino a quello di costruzione, che mediamente sta tra 1.300 e 1.600 Euro a metro quadro. A questo si aggiungono 1.200 - 1.300 di costi fondiari. Aggiungendo i costi di progettazione e gli oneri, si va oltre i 3.000 Euro. La proprietà è un diritto costituzionalmente tutelato, ma non bisogna aggravare il peso della rendita, favorendo i tempi di attesa, dovuto alle aspettative speculative.
Esempio, la sede unica del Comune di Bologna sta sorgendo su un'area di poprietà della Carisbo tenuta ferma per 10 anni. La speculazione che si forma sul rinvio va colpita nella formazione dei piani urbanistici, e la nostra proposta è di giocare tra Piano Strutturale e Piano operativo in modo da colpire la "rendita d'attesa", riconoscendo a livello di Piano Operativo il diritto edificatorio, in modo che venga ritirato se non si procede entro i 5 anni. Se una proprietà sa che aspettando ci guadagna, non avrà interesse a trasformare le sue aree (con rischi di degrado).
Attenzione anche a non sbagliare i calcoli di intervento sull'edilizia convenzionata: se si punta solo sull'affitto, che da solo non è in grado di ripagare l'investimento, o ci sono soldi pubblici, oppure tutto resta fermo. Ci vuole secondo noi un mix tra affitto permanente, affitto temporaneo, e vendita.
Nelle risposte alle domande di noi consiglieri emergono ulteriori osservazioni interessanti:
- che il tempo medio di vendita di un alloggio in provincia di Bologna è passato recentemente da 60 a 90 giorni (rallentamento del mercato);
- che le imprese bolognesi sono forti nel privato, ma debolissime negli appalti pubblici (solo il 20% dei lavori pubblici, che nel territorio provinciale ammontano a circa 200-300 milioni all'anno, sono effettuati da imprese locali). Questo perché molte imprese di fuori regione lavorano col caporalato, che crea concorrenza sleale.
- che c'è una tolleranza di fatto della presenza di clandestini (tra i 2.000 e i 2.500) che forniscono forza lavoro ai cantieri edili, oltre che ai servizi di pulizia e ristorazione. Di questo soffrono soprattutto le imprese sane. Gli enti deputati al controllo (forze dell'ordine, finanza, Asl, Ispettorato del lavoro) dovrebbero operare in modo più efficace.
- che la finanza di progetto è uno strumento interessante che sopperisce ai limiti del credito bancario, il quale non va mai oltre i 10 massimo 12 anni, per cui le imprese costruttrici non possono a loro volta sobbarcarsi oneri finanziari che vanno oltre tale limite. Con la finanza di progetto invece è possibile suddividere le opere in una parte venduta subito in libero mercato, e in un'altra parte gestita per 25-30 anni, allo scopo di trattenere i cespiti di gestione, e poi ceduta al pubblico.
- che gli alloggi costruiti dalle aziende per i loro dipendenti sono stati trattati, dal punto di vista fiscale, come "fringe benefit", alla pari quindi di partecipazioni azionarie e finanziarie, e quindi tassati in modo da scoraggiarne la realizzazione.
Seduta del 12 gennaio
Seduta doppia: in mattinata, per condividere con i colleghi della Commissione le scelte organizzative rispetto al Convegno su SFM in programma per il 12 febbraio (scelte attinenti la scaletta, i relatori, la comunicazione...)
La volontà di arrivare ad una iniziativa unitaria, ovvero condivisa da maggioranza (già di per sè molto variegata al proprio interno...) e opposizione (ovviamente interessata a vendere cara la propria adesione), rende particolarmente faticosa la seduta, vista la necessità di fare scelte (non si possono invitare tutti a parlare!) e quindi di decidere chi includere e chi escludere dalla lista dei relatori. Dopo due ore di discussione i dettagli finali sono rimandati ad una riunione ristretta da tenersi nei prossimi giorni.
Nel pomeriggio ci riuniamo di nuovo, congiuntamente con la VII Commissione, per confrontarci sulla disgrazia avvenuta il 23 dicembre a San Benedetto del Querceto, e per chiedere alla giunta (rappresentata dal vicepresidente Venturi e dall'assessore Burgin) quali azioni ha promosso e intende promuovere rispetto alla sicurezza della distribuzione del gas.
Oltre alla presenza sui luoghi della tragedia immediatamente dopo il fatto e ai funerali delle vittime, la provincia - come ci riferisce Venturi - si è collocata come parte lesa ed ha iniziato una verifica politica (quella giudiziaria spetta alla magistratura) sulle azioni, i coordinamenti e le responsabilità che vanno messi in atto per evitare che fatti simili abbiano a ripetersi.
Il dibattito che si accende in Commissione è ovviamente aspro. Leporati (Forza Italia) afferma (anzi, in alcuni momenti grida) che i vertici di Hera avrebbero dovuto dimettersi per sensibilità istituzionale, al di là delle responsabilità dirette, che sono al vaglio della magistratura, e che la Provincia ha commesso un errore imperdonabile nel vendere la sua quota Hera (lo 0,06%). Zaniboni (Margherita) invita ad una maggiore cautela ma afferma che certamente, alla luce della tragedia, i protocolli e le procedure di intervento devono essere riviste e messe in discussione.
I consiglieri Grandi e Spina (Rifondazione) si arrabbiano con Zaniboni perché dice le stesse cose che loro avevano scritto nell'ordine del giorno di cui, martedì scorso, è stata respinta l'urgenza (talvolta sembra che se la prendano di più quando siamo d'accordo che quando siamo in disaccordo...)
Il Consigliere Donini (DS) getta acqua sul fuoco, distingue tra urgenza e fretta, e afferma che la Provincia ha fatto con urgenza le cose che meritavano urgenza (quelle riferite da Venturi), mentre forzare la discussione sull'ordine del giorno martedì scorso sarebbe stato affrettato.
Nel mio intervento affermo che è emersa una lacuna organizzativa e di coordinamento tra diversi soggetti in tema di sicurezza sulla distribuzione del gas, lacuna sulla quale la Provincia - che per sua natura è ente di coordinamento - potrà esercitare appieno un ruolo positivo. Propongo infine due distinzioni: tra ruolo dei comuni come soci di Hera, e come rappresentanti degli utenti dei servizi Hera (un po' come tra stare in cucina e mangiare la minestra sfornata dalla cucina), sottolineando quindi la maggiore libertà della Provincia nel rappresentare gli interessi degli utenti (e nel valutare insomma la "minestra"), e tra responsabilità penali (attinenti al rispetto delle regole esistenti) e politiche (attinenti a valutare l'adeguatezza delle regole esistenti): sono queste ultime il nostro campo di azione.
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